Pietrapelosa, il Castello dell’infanzia
I ruderi del Castello di Pietrapelosa hanno segnato la mia infanzia, l’adolescenza e buona parte dell’età adulta. Mi recavo alle antiche vestigia medievali partendo dalla mia casa di Stridone, l’ultima del borgo, sorta su un dirupo che scende a valle in un vortice di sterpaglie e massi. Da dietro la casa un ripido sentiero scendeva il colle carsico, passando dalla terra rossa e dalle rocce bianche alle terre argillose e ai massi scuri d’arenaria, squadrati, che componevano mura vetuste a delimitazione dei campi e dei boschi. Il sentiero si immetteva in una strada tortuosa, in mezzo al bosco, interrotta da smottamenti e da vaste marne arenarie. Percorrendola arrivavo alla vecchia casa colonica dei Bencich abbandonata da decenni, successivamente alla suggestiva casetta di Flanchi, nel bosco più profondo. Lì una sorgente restauratrice mi rinfrancava della lunga camminata e, dopo una discesa alquanto difficile lungo il monte, giungevo ai piedi del castello.
Oggi percorrere la stessa strada è impossibile, il sentiero della casa di Stridone è chiuso, la strada lungo la dorsale del monte non è più solitaria, in mezzo ai boschi, ma percorsa da fastidiosi e rumorosi amanti della mountain bike e delle moto cross; la sorgente di Flanchi è prosciugata da anni. Conviene raggiungere la valle dell’affluente del Quieto, il Brazzana, in macchina. Sostare vicino al fiume per un po’, apprezzarne la bellezza, e poi risalire il monte dall’altro lato, da dove si può godere di una splendida prospettiva sul castello. Sì, il percorso in salita è alquanto difficile ma la vista vale la fatica.
Dopo aver ripercorso le tappe dell’itinerario, ecco quelle della storia. Il Castello di Pietrapelosa comprendeva anche i manieri minori di Grisignana e Salice (Salise) che vi dipesero fino alla prima metà del Quattrocento. Successivamente caddero in mano alla Serenissima e furono venduti separatamente. Pietrapelosa, come si vede dalle foto, fu eretto sopra una rupe sporgente proprio sopra l’affluente del Quieto. L’umidità che saliva dal fondovalle bagnato dal Brazzana, aveva ricoperto di verde muschio le pietre del monte: per analogia la rocca fu battezzata “Pietrapelosa” (anticamente Petra Pilosa). I suoi primi feudatari furono di stirpe germanica e lo chiamavano nella loro lingua Rauenstein, presumibilmente intendendo una “rocca ruvida”. Nel 1102 il Castello già esistente fu affidato dal duca Enrico di Baviera al patriarca Ulrico I di Eppenstein, con un documento che è il primo a certificarne l’esistenza. Il patriarca destinò il maniero delle aree selvagge dell’Istria a residenza privata nella stagione della caccia. Solo successivamente il castello avrebbe raggiunto un’importanza politica consistente. I marchesi d’Istria, che poi erano gli stessi patriarchi, governavano la vasta area dalla vicina Pinguente che offriva soggiorni più confortevoli. Nel castello andarono ad alloggiare i vassalli dei marchesi e il primo fu un cavaliere tedesco, Vulgius, che nel 1210 vi arrivò praticamente senza seguito. Dal cavaliere nacque una casata, con una dinastia di vassalli arroganti ma alquanto autorevoli che giocavano con abilità la loro partita sullo scacchiere istriano. La spietatezza dei signori di Pietrapelosa raggiunse il culmine quando trucidarono il vicino Biaquino da Momiano, loro antagonista. Nel corso della guerra che nel 1287 i Veneziani condussero contro il patriarca Raimondo della Torre, Vicardo di Pietrapelosa tradì la sua alleanza e concesse alle truppe veneziane il castello di Grisignana. Il tradimento fu un grave affronto e il nobile fu condannato all’esilio. La sentenza però non venne mai convalidata e Vicardo fu condannato a pagare un’ammenda. Non potendola pagare cedette il castello di Salice e poi anche quello di Grisignana che i Veneziani avevano restituito a guerra finita. Anni prima nella proprietà del Marchesato entrarono a far parte i friulani da Varmo, vincolati da parentele con i Pietrapelosa. Nobili di un livello superiore, i da Varmo non abitarono mai i castelli istriani e alla fine rinunciarono alla loro parte. Il successore Vicardo era un uomo d’arme rozzo e analfabeta, come tanti feudatari della sua epoca. Partecipò alle guerre friulane a fianco del Patriarcato contro i famigerati Lurn, signori di Gorizia. In questo periodo il castello di Salice cessò di esistere, venne definito villa, ovvero il fortilizio fu convertito in borgo fortificato. Salice era una sorta di battifredo, una torre di guardia sulla strada che congiungeva il passo di Covedo alla valle del Brazzana, dominata dalla poderosa rocca di Pietrapelosa. Pietro raccolse l’eredità del padre Vicardo con il sigillo della famiglia, S. Vicardi de Petrapilosa con l’impressione dell’arma: fondo d’argento alla banda nebulosa di nero. Anche Pietro fu sleale nella politica verso il Patriarcato e ben disposto verso i conti di Gorizia, tanto da diventare il portabandiera dei Lurn conducendo la guarnigione nelle contrade istriane per loro conto. A suo fianco si distinse per crudeltà il capitano generale della Contea Istriana Grifone di Reifemberg, esponente di un’importante casata goriziana. Pietro tuttavia non fu leale nemmeno con i Lurn, infatti pare trattasse segretamente la cessione del suo castello ai Veneziani. Alla sua morte la vedova Speronella di Porcia, di ricchissima casata friulana, abbandonò l’Istria per far ritorno al feudo paterno. Oramai il Patriarcato guardava con molto sospetto ai signori di Pietrapelosa e si decise di inserire nel feudo nobili di comprovata fedeltà ai patriarchi. Al castello subentrò Ulrico di Reifemberg, fino a quando il figlio erede di Pietro, Nicolò, non avesse raggiunto la maggiore età. I Reifemberg, signori dell’omonimo castello nel Carso goriziano, possedevano già delle terre nel distretto del Quieto. Pure i Reifemberg iniziarono delle trattative con la Serenissima, e grazie alla loro abilità politica, riuscirono a cedere Grisignana ai Veneziani. Le abili manovre di Venezia portarono i loro frutti e alla fine l’Istria fu del tutto conquistata. Allora alcuni senatori proposero di abbattere il castello di Pietrapelosa, essendo quello di Grisignana sufficiente a gestire i possedimenti; altri si espressero in favore della sua permanenza, affidandolo ad un gastaldo. Il castello risultava essere in pessime condizioni strutturali e fu allora che si affacciò in questa parte remota dell’Istria uno dei casati nobiliari più potenti: i Gravisi. Fu infatti Nicolò Gravisi che ricevette in custodia il feudo nella prima metà del Quattrocento. Ma facciamo un passo indietro. Nicolò Gravisi fu Capitano di Capodistria a servizio della Serenissima, divenuto noto per aver sventato un complotto a Padova ad opera di Marsilio di Carrara che voleva sottrarre la città a Venezia. Il nobile istriano fu premiato con quattrocento ducati di stipendio annuo per sé e per gli eredi fin tanto che la dinastia non fosse entrata in possesso di beni capaci di produrne altrettanti. Nel 1422 le truppe di Taddeo d’Este marciarono su Pietrapelosa e dopo una cruenta battaglia conquistarono il castello, l’unico ancora rimasto al Patriarcato. Il maniero, come abbiamo visto in pessime condizioni, valeva non più di 150 ducati e il Gravisi ne pareva interessato; senonché nel 1440 Venezia, per merito del doge Foscari, lo investì del Marchesato di Pietrapelosa “per ragioni e titolo di feudo”. Così il Cavalier Nicolò Gravisi fu Vanto da Pirano e i suoi eredi ne divennero i proprietari. Furono scalati 150 ducati dal premio di 400, i rimanenti li avrebbe pagati la Pubblica Cassa di Capodistria. Il Gravisi si impegnò a provvedere al popolamento del feudo e ne assicurò la manutenzione e la difesa. Iniziò così la fase d’oro di Pietrapelosa che, il grande letterato Girolamo Gravisi, descriveva così: il Marchesato di Pietrapelosa ha grande territorio con undici ville che sono: Cepich, Codoglia, Socerga, Num, Cernizza, Nugla, Marcenigla, Grimalda, Salise, Pregara, Sdregna. I Gravisi non usavano il castello quale residenza, si fecero edificare palazzetti e dimore molto più confortevoli per sé e per i loro illustri ospiti nelle sue vicinanze. Pietrapelosa è oggi un maestoso rudere, con cospicui lavori di riqualificazione e messa in sicurezza già attuati e altri da attuare.
Foto di Flavio Sugan