L’inverno che si sveglia tardi, a fine febbraio, quando il desiderio di primavera si fa sentire, non è comune in tempi di cambiamento climatico e di temperature alte. Il ghiaccio, la bora (ridicolmente chiamata “burian” da un’altrettanto ridicola televisione e da siti internet con propensioni “terroristiche”), la neve che ricopre la natura che si risveglia, ha lasciato tutti perplessi. Poi però, passata la burrasca, l’aria è cambiata, si è fatta più tiepida, e nei giardini sono fioriti i narcisi: il preludio della primavera che avanza. Grado, l’isola lagunare nel goriziano, ha gli alberi spogli e le spiagge deserte, abbandonate. Per me un luogo del cuore, pieno di ricordi e di malinconie di un tempo passato che non tornerà più. Ci vado oramai da una vita d’estate e non solo, nel piccolo appartamento vicino al mare che mia madre adora e che mio padre apprezzava, nonostante il suo mondo prediletto fosse rimasta l’Istria. Facendo una passeggiata con i miei cani – dai quali sono inseparabile – mi ritrovo in pochi minuti nel sublime fascino della laguna sabbiosa; lì, sullo sfondo, c’è la piccola isola di Barbana, con il suo santuario bianco che sembra costruito da una mano divina.
Grado è un’affascinante località turistica: gli edifici liberty ospitano raffinati hotel e il suo centro storico racchiude un passato lontano, legato ai patriarchi di Aquileia e ancor prima all’Impero romano. Il mare lagunare non offre la possibilità di grandi nuotate, però le spiagge (quelle a pagamento, si intende) mantengono ancora quell’allure belle époque difficile da trovarsi altrove. La cittadina lagunare ospita anche un impianto termale di buon livello, circondato da un bel parco recuperato negli ultimi anni (anche se non del tutto) da uno stato d’abbandono imbarazzante. Ho sempre avuto l’abitudine di passare del tempo nel parco, in mezzo alle palme, ai pini marittimi, ai roseti, alle agavi e alle tante altre piante che lo arricchiscono. Al centro del parco si trova il monumento al poeta gradese Biagio Marin, un artista raffinato e coltissimo che ha valorizzato la parlata dialettale con la sua sognante poesia.
La malinconia mi assale, mentre cammino tra il parco e la spiaggia. Ricordo un pomeriggio di qualche anno fa, quando sedevo in mezzo agli alberi accanto a mio padre, e ci dilettavamo in battute scherzose. Anche allora la primavera iniziava, i fiori nelle aiuole sbocciavano e il profumo dei pini accanto al mare era meraviglioso. Il cuore mi si strappa mentre ci penso, sento un sapore acre che sa di sconfitta, di crudeltà. Le persone muoiono e si portano via una parte di noi, inutile negarlo. La vita non può essere quella di prima, il senso di solitudine e la disperazione sono sempre in agguato, anche in posti belli e intimi, anche in momenti sereni. Trovare il coraggio per continuare ad essere se stessi, oltre lo strappo che ci ha cambiato profondamente, non è la più facile delle imprese. Ma la vita offre tante piccole consolazioni, tante suggestioni positive che possono allietare un animo ferito. I cani che giocano nell’acqua e “disturbano” mentre si sorseggia il tè in terrazza, un meraviglioso gatto selvatico altero e maestoso, una cena e una passeggiata nella vecchia Grado, sotto i lampioni stile Ottocento, possono donare momenti di gioia. Sì, la vita dopo un forte dolore, una perdita, non potrà mai più essere la stessa, però il percorso non si ferma e il cammino, tortuoso e difficile, non si arresta. Come la nuova stagione avvolge il mondo, cambia l’aria, rinnova la vita, così l’esistenza umana trova infinite vie da percorrere, attraverso il dolore e il cambiamento, con la speranza di altre albe e tramonti che diano un senso all’esistenza.