L’inizio di un libro
Eccomi davanti ad uno schermo, così bianco, così vuoto. Una sfida come tante che l’hanno preceduta; uno schema da comporre, da studiare, e le idee pazze e bizzarre da disciplinare dentro al foglio e alle sue regole. Ricominciare a scrivere, dopo più di un anno di stallo, anno funestato da lutti e dolori, da problemi di salute che mi hanno fatto temere il peggio, da delusioni cocenti che il mondo dell’editoria e l’evanescente – nonché falso contorno – mi riservano sempre. Non sono una scrittrice soddisfatta, non sono nemmeno lontanamente felice della mia condizione. Dieci libri scritti e pubblicati, ecco la mia condizione. Tre editori che si sono succeduti nel tempo e tante promesse mai mantenute. La vita di un autore è questa, le delusioni superano le soddisfazioni e ci si ritrova certi giorni, in solitudine, a chiedersi: “perché lo fai?”. Non è facile rispondere a questa domanda. O forse lo è. Perché lo faccio? Semplice in fondo, fin troppo semplice: non posso farne a meno. Per quanti muri incontro, per quante strade tortuose che non portano a niente percorro, non posso smettere di avere in mente un libro, una storia, un racconto, una guida, un’immagine da tradurre in parole.
L’idea della storia, delle storie, sembra un vortice che sconvolge il cervello e lo conduce verso mille direzioni. Poi il racconto si fa vivido, delineato, composto di immagini mentali e di suggestioni forti, vigorose, che scavano nell’anima. Il romanzo è la mia aspirazione, lo è sempre stata. Sogno spesso nuove guide storiche da scrivere, eleganti e sofisticate, progetti tutti miei dove nessuno potrà mettere becco per banalizzare e rendere lo scritto commerciale. Poi però, nonostante il successo della strada più facile, ritorna il romanzo, in tutta la sua forza: un’idea sconfinata e immortale. Lo sguardo volge al passato, alle rovine del tempo che vogliono essere raccontate, a personaggi dell’immaginario che si legano a storie verosimili e urlano l’urgenza di essere ascoltati e materializzati su quello spazio bianco da riempire. Il sipario inizia ad aprirsi e lo spettacolo creativo ha inizio, anche se il buon senso consiglierebbe altre strade, altri percorsi più sicuri. Non c’è modo di arrestarlo, non c’è sistema per fermarlo. Così ritorno al passato della mia terra, dell’Istria. Un castello medievale assediato, una donna emancipata di inizio Ottocento, filibustieri nell’Adriatico. Ecco le tre idee, le tre ossessioni, le tre urgenze alle quali dare corpo e anima nei prossimi tempi. Si inizia, si parte. La strada è poco illuminata e tortuosa, il cuore e la mente non la temono. Proprio come la canzone “vieni, c’è una strada nel bosco/ il suo nome conosco/ vuoi conoscerlo tu?”, così l’istinto mi guida per questa strada, tra alti alberi che fermano la luce e ombre che mi inquietano, e io intravvedo a stento la sua fine. Poi la strada esce dal buio, si apre nella vastità dello spazio, e un abbraccio mi avvolge, mi rasserena, mi dona un soffio di eternità: la parola scritta è l’unica promessa di eternità per uno scrittore. L’incoscienza di un artista non ha limiti, la sua mancanza di senso della realtà non può essere raccontata.