A metà dei quaranta
Sono nata col sol leone d’agosto, un segno di fuoco, un destino complesso segnato da ambizioni, desideri, insoddisfazioni e spesso infelicità. La vita e le esperienze hanno determinato in me un carattere chiuso e introspettivo, capace di esprimersi profondamente soltanto attraverso la scrittura. Sono arrivata così a metà dei quaranta, in questo millennio che mi vede spaesata, fuori dal tempo, aggrappata a gusti e modi di un mondo che non esiste più.
Ho fatto le mie scelte lontano dalle aspettative altrui, dall’ossessione per la giovinezza e la bellezza, per la maternità sbandierata come fosse un trofeo. Sono una donna anomala, fastidiosa, capace di suscitare invidie e maldicenze feroci, propensa a provocare reazioni stizzite in chi pretende che mi adegui alle circostanze. Rivendico il diritto ad essere diversa: un’artista dalle molteplici visioni, una figlia ribelle, una compagna difficile, una donna orgogliosamente senza figli, un’amante rispettosa del Creato. In un mondo iperconneso, ipertecnologico, proliferano i guru da quattro soldi che ci inondano di consigli praticamente su tutto, dicendoci come dobbiamo comportarci, sentirci, vestirci, nutrirci e curarci. Un oceano immenso di vacuità immani, di buoni sentimenti espressi solo a parole, di esibizionismo e voyeurismo, di stili di vita improponibili e disgustosi, di psicologia da rotocalco e improbabili mode new age da nuovo millennio. In questo intrico di “esperti” e sedicenti intellettuali io scelgo di seguire la mia strada, proponendo riflessioni personali che non sono consigli, conoscenze apprese studiano chi ne sa più di me, esperienze raccontate affinché possano contribuire ad una visione sempre maggiore della realtà; e poi l’immaginazione, la fantasia e la creatività al servizio della Letteratura, per cercare forse inconsciamente un soffio d’immortalità o più semplicemente per regalare un pezzetto di bellezza a questo pianeta che mi ospita.
Giunta ad un’età non più giovane, con il corpo che sfiorisce e tende ad ammalarsi, il dolore per la perdita di una persona cara, tipico della maturità, sempre meno fiducia nel futuro e nella possibilità di realizzare i miei sogni, scopro che paradossalmente questa è la fase migliore della mia vita. La mente lucida e attiva si arricchisce di mille progetti che si intersecano con le riflessioni, un senso della realtà mai posseduto in precedenza, una forza creativa incontrollabile che rompe gli argini della volontà. Le salite si moltiplicano ma la fatica non mi spaventa più, non mi turbano le malvagità altrui, non mi curo dei giudizi della gente, provo indifferenza per i finti amici e pietà per chi mi odia. Così le prospettive si aprono, le idee prendono forma nella preziosa realtà quotidiana di una ricercata solitudine.
Ed ecco che per il mio compleanno faccio un salto temporale, torno al mio paese d’origine, rinunciando ad una vacanza vera in Toscana, dove mi attendevano bellezze ed amici. Scelgo la mia terra ruvida, a tratti inospitale, balcanizzata completamente, piena di parvenue anti italiani e di mezzi italiani in vendita.
Un paesino composto da poche case, una chiesetta col campanile in stile veneto, tanta vegetazione che cinge ogni cosa. Non sono mai vissuta bene a Stridone, ho soprattutto sofferto in questo minuscolo borgo. Un’infanzia difficile, segnata dall’isolamento, l’emarginazione e il sogno che non si poteva sradicare: scappare via, fuggire verso quelle montagne lontane che si vedevano nei giorni di bel tempo, quelle Alpi italiane che parevano un miraggio. Alla fine ho realizzato il sogno, ho varcato quel confine per non guardarmi più indietro. Eppure Stridone è il luogo che ho nel cuore, dove sono le mie radici, dove sono sepolti i miei avi. Penso al mio paese nei tempi andati, quando i miei genitori erano piccoli o quando lo erano i miei nonni, ed è quello il mondo al quale sento di appartenere. Un’Istria lontana nel tempo, la sua cultura veneta ed italiana, le città che crescevano nell’unica fase di sviluppo economico che la mia zona abbia mai vissuto. Non c’ero, non ho vissuto l’epoca d’oro, ma paradossalmente dentro di me so che è l’unica Istria alla quale posso appartenere.
Circondata da gentaglia e da degrado umano, quando sono a Stridone sento di voler scappare via, poi quando mi allontano, mi manca terribilmente. Il dramma della gente di confine è questo, come direbbe Fulvio Tomizza. Quel senso di angoscia costante e di insicurezza, di ingiustizie patite e di sconforto, una sensazione di disagio che non termina con la maturità, però si impara a conviverci ed a trarne ispirazione. Il senso dell’essere istriana è sicuramente questo, quello di essere matura, anche. Quindi la metà dei quaranta non mi spaventa, non mi angoscia. Guardandomi indietro forse cambierei qualcosa, ma di sicuro rimarrei sempre me stessa: non si prescinde dalla propria indole. Gli anni che seguiranno questo spartiacque esistenziale, semmai saranno anni, li userò per accrescere il dono che Dio mi ha dato, quello della creatività, arricchendolo con la conoscenza del mondo che è tanta e con le storie che da questa scaturiranno.