Sulla vecchia ferrovia
Il Carso triestino offre itinerari naturalistici ricchi di contrasti, di colori che mutano stagionalmente, di antiche manifatture che raccontano storie passate e si sposano con il trionfo della natura. Uno di questi itinerari è l’ex ferrovia Trieste – Erpelle, trasformata in una incantevole pista ciclo pedonale di 12 km. La ferrovia fu inaugurata nel 1887, collegava la città di Trieste, porto cruciale dell’Impero austro-ungarico, ad Erpelle in Slovenia. Fu abbandonata nel 1959 e smantellata negli anni Sessanta, prima dalla Jugoslavia e poi dall’Italia. Molte delle originarie stazioni sono tuttora esistenti, pur essendo trasformate in abitazioni o altro, come pure talune strutture ferroviarie quali le gallerie scavate nella roccia; queste ultime recuperate e sistemate, rendendo il tracciato un percorso interessante anche dal punto di vista dell’archeologia industriale.
La pista ciclabile è intitolata a Giordano Cottur, ciclista triestino ai tempi di Coppi e Bartali. Il percorso parte dal quartiere di San Giacomo, da una zona fortemente urbanizzata, per poi perdersi nella suggestiva cornice del Carso, fino in Val Rosandra e oltre. L’esperienza del percorso offre scorci sulla città e sulla natura, attraversando vecchi ponti in pietra e altri più moderni, osservando il golfo o le rocce nude, la vegetazione ed i massi carsici, dove impavidi scalatori si arrampicano costantemente. Il sentiero è in leggera salita, l’asfalto ad un certo punto lascia spazio allo sterrato e la fatica aumenta; camminando si passa accanto a borghi caratteristici, case isolate, terreni coltivati alternati a boschi incolti. Il tratto che personalmente preferisco parte da San Giuseppe della Chiusa, passa per Moccò e Sant’Antonio in Bosco, sovrasta la Val Rosandra e arriva in Draga Sant’Elia.
Il percorso è autenticamente naturalistico, ombreggiato, ricchissimo di vegetazione spezzata solo dai manufatti della ferrovia che hanno resistito al tempo e all’incuria. Vi sono scorci in cui la roccia pare precipitare, dove le galleria l’attraversano, o dove si apre al mare, in un contrasto stridente con il paesaggio brullo del Carso. Lungo la strada ci sono punti di sosta con tavoli in legno e panchine di pietra, caselli dai quali si ammira la valle sottostante e anche la chiesa del XIII secolo, Santa Maria di Siaris, costruita sulla roccia alle pendici del Monte Carso.
Draga Sant’Elia, un abitato nei boschi, si supera in pochi passi, oltre la natura cambia: i monti sono molto più boschivi e selvaggi. Qui finisce l’Italia, un cartello e un casello in rovina segnano il passaggio da uno Stato all’altro, laddove in passato si consumava la silenziosa tragedia della Guerra Fredda. I boschi hanno inghiottito decenni di storia e ostilità, hanno fagocitato anche un cartello di ferro arrugginito sul quale la Jugoslavia di allora scriveva i suoi minacciosi moniti contro l’Italia. Il sentiero in Slovenia l’ho percorso soltanto per un chilometro al massimo, non ho visto panchine o tavoli di legno, solo uno stato di parziale abbandono con l’erba alta che invade il percorso. Tornando indietro, con il sole che si faceva meno intenso e qualche nube contrastava l’azzurro di un cielo di fine estate, mi sono chiesta se la bellezza della natura, nella sua sconfinata maestosità, ci farà dimenticare un giorno i confini e i conflitti. Questo percorso così suggestivo è di sicuro la buona strada.