2 Ottobre 2018

Istria interna, mistiche chiese di campagna

By admin
Visuale mistica - Stridone

Visuale mistica – Stridone

“In Istria ci vanno gli euforici del benessere a farsi spellare al casinò, ci vanno i gitanti a mangiare discretamente male all’insegna del turismo di stato, i devoti di S. Uberto duramente tassati. Ma anche colui che vuole gettare la togna a pesca di guati deve pagare colà il rinnovato “jus piscationis” di feudale ricordo medioevale. Chi non ha uno scopo prefisso, è quasi sempre a corto di conoscenze di luoghi, persone, non reca affetti particolari, né patisce rimpianti amari; magari avrà la radiolina a tracolla che gracchia musichette e vociferazioni”

 

Monsignor Luigi Parentin

 

Così scrive uno dei preti simbolo dell’Istria in esilio, Luigi Parentin, nel suo volume “Incontri con l’Istria, la sua gente e la sua storia” negli anni ‘90. Uomo erudito, finemente colto, monsignor Parentin era profondo conoscitore dei luoghi istriani e della loro storia. Abile archivista, nei suoi volumi non trascura nemmeno i borghi più piccoli e nascosti della regione. La rappresentazione che fa dell’Istria e dei suoi visitatori italiani (triestini soprattutto) di quel periodo, con la Jugoslavia defunta da poco, non è molto diversa dalla situazione attuale. In Istria ci si va ancora per farsi spennare al casinò, si mangia all’agriturismo che spaccia prodotti da discount per alimenti veraci, ci si fa prendere per i fondelli pagando cifre assurde nei campeggi o per sostare su spiagge selvagge, carenti di servizi, nella migliore delle ipotesi. Magari la radiolina a tracolla è un lontano ricordo, in compenso i cellulari di ultima generazione portano il visitatore anche nel locale più remoto arroccato tra i monti. Il turismo culturale non ha mai preso piede nell’Istria interna; quando si cercano informazioni su Portole, Montona, Grisignana, persino sulla mia piccola Stridone, ciò che si trova sono soprattutto posti dove mangiare e alloggiare. Un turismo mordi e fuggi, poco attento alla qualità e alla cultura, dunque. Eppure vi sono paesi, borghi e cittadine fortificate, castelli isolati, boschi verdissimi, sentieri antichi tra le erbe profumate che varrebbe la pena di vedere. In particolare l’Istria interna abbonda di luoghi di culto: chiese al centro dei paesi, chiesette sparse ovunque nella campagna, capitelli votivi, torri campanarie, costruzioni che raccontano una storia di devozione e di fede. Una di queste chiese mi è comparsa nei sogni per anni, diventando quasi un’ossessione. Da piccola la osservavo da casa mia, col binocolo: era oltre la valle, in direzione di Pregara. Poi, allontanandomi dalla casa natale, l’immagine di quel luogo di preghiera, con gli alberi davanti, che non avevo mai visitato, si è fatta costante nei miei “sogni-visioni”. Si tratta della chiesa di San Simone con il suo cimitero, un luogo mistico e panoramico. Sporge dal ciglione sulle balze dei boschi, di fronte al Carso e alla conca di Pinguente. Gli alberi che vedevo da piccola erano querce secolari che la contornavano, difendendola dalla bora e dai fulmini, purtroppo non dai ladri che hanno rubato le statuine policrome dell’altare.

S. Simone - Pregara

S. Simone – Pregara

Quando andai a visitarla, molti anni fa, mi sembrò di aver percorso centinaia di volte il vialetto che porta al cimitero e di conoscere ogni dettaglio della chiesa. Eppure quella fu la prima e l’ultima volta che la vidi, da allora non la sognai più. L’interesse per le piccole chiese di campagna mi venne allora e, grazie ai libri scritti dagli esuli, ai ricordi raccolti e ai racconti, ho potuto conoscerle meglio. La chiesa di San Girolamo a Stridone è quella più vicina alla mia anima, si trova alle porte del paese, appena sulla sinistra, accanto alla stradina per l’abitato di Sauletti, ed ha accanto il cimitero dove sono sepolti i miei avi.

S. Girolamo - Stridone

S. Girolamo – Stridone

S. Girolamo - Stridone

S. Girolamo – Stridone

Sebbene recente e senza gradi pretese strutturali, la chiesa è un luogo fondamentale per il paese. Verso il 1860, infatti, sparì per sempre l’antichissima chiesetta di San Girolamo che si trovava vicino alla chiesa parrocchiale, al centro del borgo; era pericolante, con le fondazioni scoperte, dato che si era abbassato il suolo del circostante cimitero che poi fu spostato. Così ne parla mons. Agostino Valier, vescovo di Verona, giunto in veste di visitatore apostolico a Stridone il 4 febbraio 1580: Chiesa di San Girolamo, consacrata, sta nel cimitero, piccola e con dipinti (si intende affreschi murali); ha finestre e campanile, con un solo altare, con tovaglie, pallio di pelle e statua lignea di San Girolamo”. (Mons. Parentin “Incontri con l’Istria, la sua storia e la sua gente” Centro Culturale Gian Rinaldo Carli, Unione degli Istriani 1998). La statuina del Santo occupava il capitello votivo di Vertazza, frazione all’interno del paese; San Girolamo era rappresentato con il libro e la penna, in una statua lignea quattrocentesca, fotografata per fortuna da Parentin quando era parroco di Stridone.

La statuina lignea infatti scomparve dopo la seconda guerra mondiale, se non ci fosse la foto fatta dal monsignore, di questa piccola opera d’arte non si saprebbe niente. Riavere una chiesa dedicata a San Girolamo, dopo la demolizione di quella antica, era per i stridonesi un grande desiderio, quasi una necessità. E quando il vescovo Nagl, in visita canonica nel 1905, incoraggiò il parroco nel progetto di costruirla, essi si misero all’opera con molto entusiasmo. Festeggiando la sagra dedicata al Santo (30 settembre) di quell’anno, il decano Walker benedì la prima pietra. La gente fornì gratuitamente il fondo, la manovalanza, i materiali e il denaro, in modo che la costruzione costò sole 14.000 corone austriache pagate agli artigiani. Furono comunque sacrifici non da poco per una parrocchia povera che dovette sottomettersi anche ad una questua di grano e di fieno. La nuova chiesa fu inaugurata, tra l’esultanza collettiva, il 9 ottobre 1910. Si acquistò, per l’altare, l’immagine di legno del Santo. La chiesa servì pure da succursale durante i lavori di restauro eseguiti nella principale, dedicata a San Giorgio, nel 1935; vi furono anche depositati due altari settecenteschi, rimossi da quella, e tuttora presenti. Il grande affetto per questo Santo ha una motivazione curiosa, con tanto di diatriba tra gli storici. San Girolamo fu Dottore Massimo nella tradizione e nell’interpretazione delle Sacre Scritture, un genio che giganteggia nell’antichità cristiana, un polemista senza eguali, lanciato a difesa della fede, contro ogni specie di eresia del suo tempo, con una straordinaria erudizione sacra e profana; uno scrittore fecondo e raffinato, secondo solo a S. Agostino, e a lui superiore nello stile e nell’umanità. Che questo illustre uomo di fede sia istriano di nascita è divenuta nel tempo una tesi probabile, stando a molti studi italiani e stranieri. L’argomento chiave a favore di questa tesi si ricava direttamente dai suoi scritti. Egli afferma infatti di essere nato a Stridone, borgo fortificato, ormai distrutto da un’incursione dei Goti, il quale si trovava, dice il Santo senza precisione, presso il confine tra la Pannonia e la Dalmazia. Sulla base delle delimitazioni di allora, si deve intendere l’abitato entro il lembo orientale d’Italia sporto verso quelle province. Dunque, precisando meglio, dentro il triangolo compreso tra Aquileia, Emona (Lubiana) e il Quarnero. Non c’è alcun nome di località che si avvicini al nome che il Santo dichiara, ovvero a Stridone, in altri luoghi di questo lembo di terra. Ad Aquileia San Girolamo certamente vi soggiornò, ospite del vescovo Cromazio. In questa antica città e nei vicini centri di Concordia e di Altino aveva interessi culturali e legami di amicizia; di questi luoghi sono infatti molti dei suoi corrispondenti. Stridone, in Istria, dista solo 70 chilometri da Aquileia, che era senza dubbio importante e organizzata diocesi. Per monsignor Parentin, se il Santo fosse stato dalmata si sarebbe rivolto al clero di Salona o di Zara, non alla lontana Aquileia. Inoltre la formulazione a lui attribuita, “Parce mihi, Domine, quia dalmata sum”, viene considerata tardiva e arbitraria. Dunque pur essendovi molte chiese, cappelle e altari dedicati al Santo, la mia Stridone probabilmente ha maggior diritto rispetto ad altri di invocarlo come protettore. Un’altra chiesa nella campagna ha per me un valore particolare, essendo il luogo dove ho assistito – seppure nel ventre di mia madre che mi avrebbe partorito pochi giorni dopo – alla prima messa detta da don Lino Rakar, successivamente parroco di Stridone per quasi quarant’anni e mia guida spirituale. Si tratta della Madonna della Neve a Ceppi, vicino Sterna.

Madonna della Neve

Madonna della Neve

Era il cinque agosto del 1973, il giorno in cui si celebra il rito della processione. Mia madre non voleva mancare a questa funzione religiosa così importante nelle nostre campagne, dal valore spirituale profondo. Andò a messa, seguì fino alla fine la funzione, e fu la prima a ricevere la benedizione del giovane sacerdote data la sua evidentissima gravidanza. La chiesa-santuario, isolata, di struttura sobria e vigorosa, risulta molto più ampia ed imponente delle piccole e graziose chiesette di campagna; in essa infatti arrivavano numerosi fedeli in pellegrinaggio da ogni parte. Le messe si officiavano in canto gregoriano, quindi la processione si snodava all’esterno, al suono delle due campanule.

Madonna della Neve

Nel libro di monsignor Parentin ho letto di quattro fanciulle vestite di bianco che sorreggevano l’immagine della Madonna, decorata da fiori campestri e da un mazzo di gladioli e garofani che arrivavano da Trieste. Il rito seguiva una tradizione secolare, anche in tempi recenti, resistendo al sentimento relativista antireligioso e al consumismo dilagante. Ciò che colpisce il visitatore che giunge in questo meraviglioso luogo isolato, è la grandezza di una chiesa a tre navate in mezzo ai campi. La costruzione iniziò prima del 1460, ad un certo punto fu interrotta e appena dopo il 1492 fu completata. In una informazione d’archivio che monsignor Santin cita, si legge che la località era data dal vescovo di Cittanova in godimento ai Gravisi di Pietrapelosa, signori indiscussi di queste zone. Dunque, nel giugno del 1492 il podestà di Capodistria riferisce alla Serenissima di aver istruito un processo criminale contro undici persone ree di “secta et diabolica heresia” a Malacepich (il nome del luogo presente nei documenti antichi), di averli arrestati ed inquisiti. Tra di essi vi era anche una donna, asserita “viceregente della B.V. Maria”. I presunti colpevoli furono tradotti a Venezia sotto scorta assieme agli atti del processo. Pare che ad animare queste persone furono dei frati paolini di San Pietro in Selve e sul lago d’Arsa, che tenevano un piccolo convento dedicato alla Madonna; tuttavia, essendo sudditi arciducali, non vennero inquisiti. La spinta a costruire un tempio dedicato alla Vergine, che non avesse legami con le eresie, e l’intervento dei nobili Gravisi, portarono al completamento dell’opera, seppure con delle modifiche strutturali. All’interno otto colonne sostengono le arcate gotiche e i loro capitelli, alternano motivi rinascimentali di ghirlande, festoni, busti umani, emblemi araldici, scolpiti in altorilievo: opere dei maestri Pietro da Lubiana e Mattia da Pola. Risulta ben sagomato l’abside a costoloni e suggestivi sono i tre altari di timbro popolare. Per me recarmi di tanto in tanto in visita a questa chiesa, pur essendo prevalentemente chiusa al pubblico, mi dà una sensazione di quiete profonda difficile da descrivere. Il connubio tra le scure pietre squadrate che la compongono e la natura che la circonda, sono un inno alla fede e alla spiritualità. Termina qui la prima parte di questo viaggio nei luoghi della fede dell’Istria interna, altre chiese e edifici sacri saranno raccontati nelle prossime settimane.