Streghe e altri miti
“Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”
Voltaire (1694 – 1778)
Provengo da una cultura contadina, da un mondo arcaico che ha sempre mescolato religione e superstizione per dare una risposta alle gioie e alle sciagure della vita. Le festività dei Santi e dei Morti, ad esempio, erano particolarmente sentite anche in tempi recenti, quando antichi rituali legati alla luce (di lumini e candele) e di addobbi floreali, avevano quale fine l’ornamento delle tombe dei defunti nel cimitero di terra rossa del mio paesino. La religione cattolica veniva in qualche modo sovrapposta a qualcosa di preesistente, per lo meno nella ritualità e nelle credenze. Si temevano i defunti, infatti quando qualcuno moriva in casa, per giorni i congiunti provavano timori e udivano strani rumori: passi, scricchiolii, mobili che si spostavano misteriosamente, oggetti fuori posto. Non erano semplici suggestioni ma credenze molto radicate. La permanenza o il ritorno dei defunti, nella notte del 31 di ottobre in particolare, quando ci si teneva ben distanti dai cimiteri frequentatissimi di giorno, erano residui di antiche religioni pagane che nel mondo rurale sopravvivevano alla modernità. Una delle credenze più suggestive, almeno per quanto mi riguarda, era la presenza delle streghe nei racconti. Ad essa ho dedicato una short novel nel 2010, intitolata “Dove danzavano le streghe”. Non è nata casualmente questa storia, anzi deriva da un luogo che esiste realmente e da una credenza ad esso legata. Infatti vi era una radura nei dintorni di Stridone, ben visibile anche da lontano, attualmente inghiottita dal bosco, dove si sussurrava le streghe facessero i loro rituali; in particolare i testimoni che sostenevano di averle vedute dicevano di come ballassero intorno ad un fuoco, vestite di bianco. Il posto si chiamava dialettalmente dove balava le strighe.
Da dove nasce questo mito così diffuso in tante culture e ferocemente osteggiato nei secoli passati? Diciamo pure che occorre partire da lontano, senza però perdersi nei terribili anni delle persecuzioni dell’Inquisizione, nelle cause complesse che l’alimentarono e che non starò qui ad analizzare. Mi limiterò ad una narrazione riguardante tempi posteriori ma con radici lontanissime. La Rivoluzione Francese, attraverso Voltaire in particolare, affermò la superiorità della Ragione su ogni altra credenza e il successivo Positivismo negò tutto ciò che non si poteva provare, toccare con mano, con una particolare avversione per il soprannaturale. Di conseguenza la maggior parte degli studiosi, degli antropologi soprattutto che affrontarono scientificamente il tema della demonologia, stregoneria e magia, rimasero perplessi dal peso che queste credenze avevano avuto, contrariamente alla Chiesa che le aveva ammesse anche solo per condannarle brutalmente. Il Sabba, le svariate riunioni, il segno del diavolo, le pomate per volare e altre pratiche, oltre alle tante credenze legate ai poteri che sopravvivono ancora (basti leggere la cronaca per sincerarsene), non furono in alcun modo accettate dalla comunità scientifica e nemmeno dalle persone di buon senso. Per tutti questi scettici razionalisti, la magia, la stregoneria, i poteri divinatori e taumaturgici, erano solo sciocchezze se non truffe. Tuttavia, dalla prima metà del secolo scorso, il demonismo, la stregoneria e la magia hanno influenzato nuovamente una parte della popolazione che evidentemente cercava, e cerca ancora, delle risposte che non trova. La gente delusa dalle rivoluzioni industriali e scientifiche ha voluto credere nei miracoli, ovvero negli avvenimenti irrazionali e soprannaturali, nelle favole e nei miti, anche quando li sapeva illusori. Oggi gli antropologi moderni li considerano ambiti importanti d’indagine, non solo quale espressione di una cultura popolare e rurale che si perde nel passato più arcaico (in Europa, in Africa, in Asia e nelle Americhe degli indio) ma perché sopravvivono, e qualche volta prosperano, anche nei paesi industrializzati. Nell’immaginario collettivo la strega non è solo colei che si raduna per i rituali e lancia oscuri malefici, essa viene spesso identificata con le antiche herbane, cioè quelle donne dedite alla stregoneria che si occupavano di raccogliere piante officinali ed elaborarle in maniera tale da ottenere gli effetti voluti. Queste donne si potrebbero considerare le farmacologhe medievali, con capacità esoteriche. Le guarigioni magiche di antica memoria o persistenti per secoli nella medicina popolare, oggi sono divenute parte del vasto patrimonio della medicina alternativa. La valenza scientifica data ai benefici delle piante non ha più alcunché di esoterico, se non nella fantasia di qualcuno; le piante infatti si vendono nelle erboristerie e sono una prosecuzione moderna di quella medicina popolare e antica attualmente rivalutata. Tornando alla stregoneria in stricto sensu , ovvero quella malvagia o nera, rimane l’unica ad essere stata condannata totalmente. La magia bianca, delle guaritrici del popolo per intenderci, è stata tramandata oralmente oppure per iscritto, di madre in figlia, e tra le fattucchiere. I manoscritti venivano in massima parte stilati dalle poche herbane che sapevano scrivere e soprattutto dagli alchimisti. In quest’ultimo caso i testi hanno fatto parte di opere e codici di magia naturale, redatti anche da autentici studiosi, quali Paracelso, Cardano, Dalla Porta ed altri.
Ho approfondito questo argomento nel libro “Il giardino del benessere. Storia e rimedi delle erbe” (pgg. 34-39) del febbraio 2018. Le streghe dedite alla magia nera si attribuivano l’esecuzione di incantesimi a scopo di danno, come la sterilità, la malattia e persino la morte; un evento questo che poteva essere causato molto più semplicemente da un avvelenamento tramite piante o altro. Queste streghe erano chiamate malefiche o venefiche, appunto avvelenatrici; il termine strix (uccello della notte) probabilmente era riservato a quelle che affermavano di volare. Altro prodigio della magia nera era il malocchio, cioè l’occhio cattivo, capace di danneggiare fino a fulminare le sue vittime. Di questo prodigio la cultura rurale istriana è colma, tanto che da piccola le donne anziane mi avvisavano: fai attenzione al brutto occhio. Si preparavano statuette di cera, in molte culture, a immagine del soggetto del maleficio e si trapassavano con degli spilli. In tale maniera si credeva di danneggiare la persona, fino a portarla al decesso, su ordine dei committenti. Nella tradizione del mio luogo di nascita le streghe non erano così estreme, e non erano solo donne. Infatti una slogatura, un mal di testa persistente, un insieme di piccole e gradi sfortune che si accumulavano, soprattutto a danno della salute, potevano essere causati anche da uomini malvagi, chiamati “bilfi”. Le streghe erano per lo più le guaritrici, coloro che il malocchio lo toglievano con preghiere e strani rimedi. Preparavano infatti fuochi e facevano respirare a pieni polmoni i fumi di certe piante, come il salice, oppure i fiori di San Giovanni (colti il giorno del solstizio d’estate). Oggi sappiamo che il salice ha dato il nome all’acido acetilsalicilico, contenuto anche in altre piante e principio attivo dell’aspirina, per cui tutto sommato queste vecchie streghe della mia infanzia non erano malvagie.
Il Friuli è anche più ricco dell’Istria riguardo a credenze, rituali e luoghi considerati esoterici. Uno di questi posti è certamente la piana delle streghe di Cercivento, in Carnia. Qui si racconta che le streghe si riunivano di giovedì, giungevano anche da lontano e da ogni parte del Friuli. Erano vestite di bianco, danzavano intorno ai fuochi, conoscevano le erbe e preparavano le pozioni. Ballavano in forma di cerchio e veneravano la dea madre. L’albero magico delle streghe era il nocciolo, gli si attribuiva un forte potere divinatorio, e le streghe vi ricavavano degli oggetti. Il giorno del grande raduno era sicuramente il solstizio d’estate, lo sposalizio tra la terra e il cielo. Un incontro che viene rievocato anche attualmente, quando le appassionate di questi antichi rituali si trovano nella radura con bacchette di legno agitate nelle fiamme dei falò, scacciando, dicono, influssi malefici al canto delle filastrocche. Il giorno dopo si fanno il bagno nella rugiada, un rituale antico che renderebbe il corpo sano e fertile. Molti di questi rituali e di queste credenze traggono origine da antiche religioni pagane, portate dai Longobardi e da altre popolazioni nordiche sul nostro territorio. Le divinità celtiche, ad esempio, erano così tanto radicate da necessitare la sovrapposizione cristiana in molte occasioni. Esempi sono Santa Brigida, derivante da Brighid, dea celtica tra le più importanti che presiedeva l’agricoltura, la fertilità e la guarigione, così come la poesia, il fuoco e la protezione dei fabbri; la Morrigan, associata ai corvi, al panico, alla frenesia, era considerata la dea della guerra e dei morti, ed è proprio la divinità che si festeggia la notte del 31 di ottobre. Tanti altri sono gli esempi che si potrebbero fare, riguardanti divinità e festività annuali che hanno lasciato tracce. Interessanti poi sono le divinità teutoniche, raccontate nell’Edda, opera letteraria a carattere epico e lirico, compilata verso il 1240 e scoperta soltanto nel 1643 da un vescovo islandese. Essa raduna 29 componimenti in metri vari, ripartiti in due gruppi: poemi mitologici e poemi eroici. Protagonisti dei primi sono dei, giganti e nani: il sommo Odin (Wotan in tedesco), il Giove del Pantheon germanico e sua moglie Frigg; Thor, antico dio del fulmine e del tuono, Baldur dio della luce; il maligno Loki e la bella Freyja, dea dell’amore. Il mito vichingo ha così tanto influenzato la nostra cultura che quando si pensa al crepuscolo degli dei, la creazione e la fine del mondo, viene immediatamente in mente il compositore Richard Wagner. La cultura islandese e norvegese è tuttora permeata da queste antiche credenze, alle quali sono dedicati monumenti e gadget di ogni genere.
Le streghe e le credenze magiche, dunque, sono ancora molto presenti nella nostra cultura, così scettica e razionalista. Siamo forse alla ricerca di una spiritualità che abbiamo sacrificato al benessere e alle sicurezze razionali, oppure siamo solo confusi davanti alle sfide sempre più difficili dei nostri tempi. Quando ho visto mercoledì scorso i bambini del mio quartiere, vestiti secondo la moda americana di Halloween, andare di casa in casa dicendo la famosa frase “dolcetto o scherzetto”, ho provato una strana malinconia. Mi sono ricordata della mia infanzia in Istria, dove l’abitudine dei bambini di andare di casa in casa era riservata al primo di gennaio e la si chiamava in dialetto bona man – frutti e noci regalate dai vicini come buon auspicio per l’anno nuovo – ed ho pensato a quanto siano cambiati i tempi e le abitudini delle persone. Eppure non mi sento di bollare questa nuova ricorrenza come una furbata commerciale, fatta esclusivamente a scopo di lucro e costruita sull’esterofilia italiana. Penso invece che la gente senta un bisogno profondo di felicità, gioia, spensieratezza di cui il mondo attuale pare estremamente povero. Così ho voluto ricordare le streghe, i miti, le credenze e i riti che potrebbero sembrare ridicoli ma che sono un patrimonio culturale importante da conoscere e conservare, senza scadere per questo nella credulità o nella superstizione superate da secoli. Questo articolo dunque è dedicato alle streghe buone e ai maghi positivi, a tutti coloro che rendono magica la loro vita e quella altrui, senza filtri e senza sortilegi, ma con la vivacità e la curiosità dell’intelletto.