Istria interna, mistiche chiese di campagna: Draguccio, perla affrescata
L’antico borgo di Draguccio si trova alla fine di un crinale che divide le valli dell’alto Quieto e del Bottonega, sotto le falde del monte da dove inizia la discesa verso Pisino, attraverso un verde itinerario fatto di declivi terrazzati, vigneti e boschi che si perdono a vista d’occhio su entrambi i lati. Lo sguardo si perde tra le alture lontane, emerse come piccole cime azzurre nella fredda luce invernale, oltre Rozzo e Colmo, dominate dal Monte Maggiore che appare come un gigante; le luci sono sfumate, le ombre basse di un pomeriggio di gennaio che preludono al crepuscolo. Ed ecco che appare Draguccio, perduta tra i boschi, con il suo campanile veneto che svetta alto. La borgata è pittoresca, poco abitata e ricca di bellezze artistiche. Infatti il paese può pregiarsi di ben quattro chiese e di palazzine signorili che ricordano un borgo dell’Umbria o della Toscana, piuttosto che dell’Istria interna.
Il paese giace su un colle di neanche 400 metri, dal clima mite che vede a inizio gennaio la lavanda ancora fiorita e molti ulivi in splendida salute. Vi si accede dalla strada principale, dopo una leggera discesa che porta alla spianata prima del borgo, dove sorge il cimitero con al centro la prima chiesa, S. Eliseo, posta su un terrapieno cinto da massicce mura. Una chiesa romanica, del periodo aquileiese, a una navata, formata da file di bugnato bicolore, dal suggestivo effetto bianco e grigio.
All’interno vi sono pregevoli affreschi del XIV secolo, purtroppo danneggiati dal tempo e dall’incuria, raffiguranti la Natività, i Magi, la Fuga in Egitto, il Cenacolo, il bacio di Giuda, la Crocifissione, la Deposizione e l’Annunciazione. La seconda chiesa che si incontra, proprio all’ingresso del paese, è dedicata alla Madonna del Rosario. In questo luogo si trovano dei magnifici altari lignei policromi risalenti al XVII e XVIII secolo, provenienti anche da altre chiese del circondario, che lasciano stupiti per la loro bellezza e semplicità di arte povera.
Risalendo la strada si incontrano diversi palazzetti, come la casa del capitano e la residenza di Antonio Grossich, celebre medico del luogo. Al dottor Grossich si deve l’invenzione della tintura di iodio, usata nella disinfezione cutanea preoperatoria. Il suo metodo di disinfezione, chiamato “metodo Grossich”, e la sua applicazione ha portato a diminuire drasticamente le infezioni postoperatorie. Fu medico di corte degli Asburgo e, dopo la prima guerra mondiale, visse a Genova e divenne senatore del regno d’Italia.
Proseguendo lungo la via si giunge alla piazza principale con la chiesa parrocchiale e il campanile veneto, i bastioni, i resti delle fortificazioni e un suggestivo palazzo dal sapore rinascimentale. La chiesa è dedicata alla S. Croce, a triplice navata, più volte rimaneggiata. Dagli interni suggestivi, con altari e dipinti murali in buono stato. Al centro della piazza si trova una fontana, mentre a sud si può salire su un bastione di difesa. Si possono vedere ancora i resti del castello e il fondaco, il magazzino che si apre in un lungo porticato che sbocca in piazza attraverso due porte, ora deposito di vecchi carri agricoli.
Oltrepassato il castello si giunge su uno spiazzo erboso con un panorama stupendo che permette la vista su tutta la valle del Bottonega; da qui si ha modo di notare come il campanile veneto di Draguccio sia in linea perfetta con i campanili di Vetta, Sovignacco e della mia Stridone, così lontana, oltre il fiume Quieto. Sul ciglio di questa verde spianata, ancora con le tonalità smeraldo in pieno inverno, il sole che illumina il borgo con gli ultimi raggi dorati, si trova isolata la chiesa dei SS. Rocco e Sebastiano, di notevole interesse religioso e artistico.
La chiesetta fu costruita a spese dei fedeli per voto contro la peste o mal di Giandussa, come si diceva nel Medioevo. Costruita con l’arenaria ruvida, ha un grande porticato sostenuto da cinque colonne, un campanile a vela a monofora e un altare esterno, esempio unico in Istria. All’interno stupende pitture murali datate 1529 e 1537, firmate dal celebre maestro Antonio da Padova. Le figure e le scene hanno una notevole forza espressiva, il virtuosismo del pittore qui supera ogni altra rappresentazione. Spiccano gli intercessori contro il contagio, i SS. Fabiano, Sebastiano e Rocco, sormontati dall’Annunciazione. Altri santi appaiono sull’arco e le adiacenze: Eliseo, Antonio Abate, Gregorio Magno, Pietro, Paolo, Andrea, Lucia, Apollonia e i dottori Girolamo, Ambrogio, Agostino. Poi si allineano le scene bibliche: la Natività, la Fuga dall’Egitto, la presentazione al Tempio, la Passione, Cristo davanti a Pilato, ad Erode, l’Ecce Homo eretto fra le pie donne. I colori, le suggestioni sono difficili da descrivere, soprattutto nell’ampia cavalcata dei Re Magi: ci sono tonalità di rara brillantezza.
Ripercorriamo ora, a grandi linee, la storia di Draguccio. Questo sperduto borgo era abitato fin dalla preistoria dai Veneto-Traci che l’hanno abbandonato all’arrivo dei Celti Subocrini nel V sec. a.C. In epoca romana fu fortificato e posto a sorveglianza dell’antica via romana sulla quale è stata costruita la strada attuale. Non sono mancati i reperti di antichità romane, quali lapidi, frammenti d’iscrizioni, cippi funebri. Draguccio è stato anche uno dei tanti castelli che il sistema feudale seminò in Istria nel periodo medievale. Il castello infatti fu donato dal conte Ulrico II di Weimer ai patriarchi di Aquileia, e nel documento che certifica la donazione (1102) il suo nome risulta essere Dravuie. Il nome con cui il borgo è tuttora conosciuto deriva dal torrente che scorre verso il Bottonega e proviene presumibilmente dalla voce slava “draga”, nella sua particolare accezione che sta ad indicare un avvallamento o fossa. Questo è un toponimo comune nelle zone rurali dell’Istria, ad indicare soprattutto i boschi che declinano a valle. Probabilmente perché piccolo e di scarsa importanza, Draguccio, all’epoca del Patriarcato, non fu mai sede di una signoria ma venne affidato ai gastaldi goriziani dei conti Lurn ai quali apparteneva: entrò a far parte della contea d’Istria degli arciduchi d’Austria solo nel 1350. Le sue mura poco robuste e una guarnigione insufficiente, furono fonte di sciagure per questo incantevole abitato. Nel 1483 bande turche saccheggiarono le campagne circostanti, rubarono il bestiame e rapirono i contadini poi venduti come schiavi. Draguccio fu danneggiata anche prima dalle milizie venete di Taddeo d’Este, nel 1421, quando l’Istria si piegava al volere della Serenissima; nel 1508 Damiano di Tarsia la occupò, e poiché si trovava ai confini con la contea austriaca, fu mantenuta in efficienza e le sue mura fortificate, dopo il 1535 quando divenne definitivamente veneta. Draguccio, assieme a Colmo, Rozzo, Sovignacco e Vetta, fu una delle cinque fortificazioni dipendenti dal capitano di Raspo con sede a Pinguente; i castelli avevano il compito di bloccare le scorrerie austriache entro i loro territori. Un ingente contingente fu inviato a Draguccio nel 1615 durante la guerra tra la Serenissima e l’Austria, la guerra di Gradisca o degli Uscocchi. Gli austriaci mossero contro Draguccio proprio gli Uscocchi guidati dal triestino Benvenuto Petazzi e dal conte Volfango Frangipane di Tersatto. Il castello riuscì a resistere al massiccio attacco, le mura e i bastioni costruiti nel 1570 dal provveditore veneziano Francesco Basadonna, hanno consentito una valida difesa.
Non fu così per le campagne circostanti, messe a ferro e fuoco e razziate impietosamente; furono rubati persino i paramenti nelle chiese, rotte le croci e compiuta ogni empietà. Gli abitanti di Draguccio reagirono a tutto ciò, diedero la caccia ad un distaccamento uscocco che aveva predato uomini e beni, finché non lo raggiunsero liberando i contadini rapiti e recuperando il bottino. Non furono soltanto le guerre a martoriare Draguccio e i suoi dintorni, ci furono anche periodi di carestie, pestilenze e spopolamento. La Serenissima provò a ripopolare il territorio con l’insediamento di famiglie morlacche, dando vita ad una popolazione mista. Di questo periodo infatti rimane un protocollo in glagolitico con atti vari dei secoli XVI e XVII redatti dal parroco Andrea Matcovich.
Oggi Draguccio ha pochi abitanti e tanti gatti che girano indisturbati; l’atmosfera è cordiale nei confronti del visitatore, riconosciuto quale risorsa per il borgo. Ci sono case finemente restaurate da stranieri che vi soggiornano e altre in stato di abbandono. Qualche anno fa è stata aperta la Casa degli affreschi di Draguccio, nata quale sede per lo studio e la preservazione degli affreschi stessi (anche se grandi interventi sulle splendide raffigurazioni segnate dal tempo non ne ho visti). Quando vi sono giunta, mi ero già preparata a parlare in croato, non aspettandomi la presenza di italiani nel luogo. Invece non è andata affatto così: nella chiesa della Madonna del Rosario ho incontrato una signora del luogo che ci teneva a parlare il nostro bel dialetto istro-veneto, orgogliosa della sua cultura e delle sue radici. Dalla sua bellissima casa ho potuto ammirare un paesaggio stupendo, in direzione di Grimalda e della valle.
Ho scoperto, con mia meraviglia, che qui, al confine con la vecchia contea di Pisino, le abitudini linguistiche ereditate da Venezia non sono affatto morte. Il sole calava mentre lasciavo Draguccio, oltre le colline il rossore del cielo preludeva alla notte e alle stelle. Il ricordo degli affreschi, delle bellezze naturalistiche e artistiche, della cordialità dei suoi abitanti, saranno uno sprono per ritornarci ancora, quando la primavera inonderà la bellezza del borgo col suo profumo.