Il sentiero delle erbe: storia della medicina officinale nei secoli (Introduzione e Prima Parte)
Premessa
Vi presento un nuovo progetto all’interno della rubrica “La via delle erbe”, un viaggio conoscitivo che ho fatto attraverso i secoli, leggendo libri e articoli, visitando monasteri e conventi dove ancora si conservano le antiche farmacie dei semplici, per comprendere l’evoluzione della medicina officinale. Ci fu un tempo in cui la medicina dipendeva interamente dall’utilizzo delle piante medicinali e dalle abilità manuali di chi la praticava. L’uomo comune nell’antichità stava vicino alle piante senza conoscerle col loro nome. Le considerava magiche, adornava con esse gli altari, le teneva davanti alla sua casa e viveva in armonia con loro. Gli antichi usavano le piante quando qualcuno stava male, come dono o offerta, come buon auspicio. La malva, la melissa, la gramigna, la piantaggine, costeggiavano le strade e invadevano i campi, arrivavano alle porte dei primi insediamenti urbani. Nei paesi di campagna, fino a epoche non troppo lontane, le “guaritrici” tanto perseguitate dall’Inquisizione, conoscevano i benefici della natura e li usavano per esorcizzare il male, quello supremo: la malattia. La medicina dotta, nei secoli, non è stata avversa o distante dalle percezioni del popolo, anzi si fondeva con esse, nella ricerca di un comune benessere. Dopo la spaccatura forte e lacerante che ha diviso questi due mondi – la medicina ufficiale dai rimedi fitoterapici di antica memoria, abbandonati per i più efficaci metodi chimici –, oggi il crescente interesse per le piante e le loro proprietà è palese. La validità curativa dei principi presenti in esse trova attualmente il giusto riconoscimento scientifico.
Gli articoli che seguiranno non sono stati scritti da un medico o da un erborista, non ci sono pretese di scientificità (per quelle si rimanda a volumi e articoli di grandi autori titolati), si tratta semplicemente di un percorso di vita fatto esplorando i doni della natura e le conoscenze antiche che li circondano. Quella conoscenza che ci guida verso un sentiero perduto tra la polvere del tempo e delle civilizzazioni, verso un ricongiungimento con la madre terra che noi, figlioli prodighi, troppe volte disattendiamo. Per fare questo percorso invito i lettori a ripercorrere la storia della medicina nei millenni che di seguito verrà pubblicata: dalle tavolette di argilla dei Sumeri e dal Papiro di Erbes degli Egizi, ai trattati di medicina degli antichi Greci; dai monasteri del Medioevo e dalla Scuola di Salerno, fino alle intuizioni degli alchimisti nel Rinascimento; dalle rivoluzioni scientifiche del XVII secolo alle conquiste della medicina del secolo passato.
La prima parte di questo progetto, che diventerà in futuro un libro più approfondito, ripercorrerà proprio questa storia, dal tempo in cui la distinzione tra medicina dotta e popolare ancora non esisteva, quando addirittura la magia e la medicina non erano distinte. Seguendo i sentieri nei secoli, attraverso personaggi e storie, cercando di tratteggiare una via maestra che ci riconduca ai giorni nostri.
La seconda parte, invece, riguarderà i rimedi della tradizione popolare e della fitoterapia moderna: da quelli più antichi che troviamo nei libri dei monaci, alle cure fitoterapiche che ci conducono nel XX secolo e che sono la mia grande passione. Un mondo di conoscenze e abilità, mescolate anche alle superstizioni, che l’uomo contemporaneo può osservare e comprendere con il dovuto distacco, generato dal tempo e dalla cultura scientifica della nostra epoca.
Parte I
Storia della medicina officinale: dal mito alla scienza
(Foto del Museo Egizio di Torino fornite gentilmente da Doriana Vidonis)
Introduzione
Nelle società primitive solo allo stregone, e successivamente al sacerdote, era consentito l’uso medico delle erbe. Egli mescolava la magia alle conoscenze delle forze vegetali contenute in foglie e radici, seguendo segnali atmosferici e cosmici per la raccolta e la somministrazione. Può apparire paradossale ai moderni il legame secolare tra magia e medicina: non si potrebbe pensare a due mondi tanto in antitesi tra di loro nel modo di interpretare i fenomeni. Gli storici, i ricercatori e gli antropologi contrariamente hanno dimostrato quanto è profondo e antico il legame tra medicina e magia. Per le comunità primitive umane, prevalentemente patriarcali, le figure del capo villaggio e dello stregone (o sciamano) ricoprivano i massimi ruoli di potere. Il capo villaggio possedeva connotazioni di forza fisica, legati ad un concetto primitivo di potere: interiorizzava la proiezione della tribù, quella legata alla potenza dell’atto fisico. Lo stregone, invece, contava su una forma di potere magica o soprannaturale, soddisfacendo le necessità spirituali primitive della comunità. La sua figura era intesa quale intermediario fra l’uomo e gli spiriti che muovevano la natura. Basandosi sull’uso di rituali e incantesimi, sulla magia divinatoria, gli stregoni cercavano di dominare le intemperie, le pestilenze e gli animali predatori, al fine di infondere quella sicurezza necessaria a ogni progresso umano. Le antiche religioni animiste concepivano il malato come posseduto da spiriti maligni e l’unica cura possibile per salvarlo consisteva nei rituali che allontanavano il maleficio. Nelle civiltà preistoriche religione e magia costituivano un unico e inscindibile ambito, soltanto la successiva evoluzione culturale permise alla religione di staccarsi dalla magia, cercando un’elevazione spirituale maggiore. Quest’ultima, invece, rimase legata ad una mistica più terrena e umana. Le preghiere religiose erano rivolte a implorare la benevolenza divina, gli incantesimi e la magia divinatoria miravano a infrangere le regole della natura per favorire l’uomo. Questo approccio, assieme alla segretezza che si pretendeva dagli “iniziati” alla sapienza specifica, avvicinarono la magia alla medicina. La successiva e fondamentale scissione tra magia e medicina propriamente detta, avverrà nelle civiltà europee, a cominciare dall’antica Grecia. Qui assisteremo alla fine delle pratiche mistiche dei templi di Asclepio con l’ascesa della medicina di Ippocrate che toglierà alla malattia ogni connotazione soprannaturale. Il discorso cambia radicalmente se si prendono in esame le principali civiltà orientali che qui non tratterrò, dove l’evoluzione della medicina non vede una contrapposizione con la magia, ma si evolve di pari passo. Gli antichi medici orientali continuarono ad applicare pratiche magiche e incantesimi, combinate all’uso di piante medicinali e alla convinzione che specifici stili di vita influenzassero in modo decisivo il decorso della malattia o la sua prevenzione.
“Se non si racconta l’origine della medicina,
non la si deve usare”
(Canto rituale na-khi, Cina sud orientale)
La medicina nelle civiltà antiche
La Mesopotamia, terra tra i fiumi Tigri ed Eufrate, è nota a tutti quale culla della civiltà umana. Gli archeologi hanno rinvenuto innumerevoli tavolette di argilla iscritte in caratteri cuneiformi, in siti quali Assur, Ninive e Mari, che rappresentano le fonti della conoscenza storica delle civiltà mesopotamiche. Centinaia di migliaia di tavolette, molte ancora inedite. Si tratta per lo più di testi amministrativi ma anche riguardanti la storia della cultura e della politica, come testi religiosi, letterari, lessicali, magici e anche medici. La popolazione della Mesopotamia agli inizi della storia era composta da due elementi principali: Sumeri e Accadi. Per gli Accadi si conosce l’origine della lingua (semitica) probabilmente originaria dalle aree siro-palestinesi e dalla penisola araba. L’origine dei Sumeri è invece più misteriosa. La lingua non è imparentata con nessuna del vicino Oriente. Quindi si suppone che i Sumeri siano un elemento intrusivo. Di loro si sa che parlavano una lingua agglutinante, in assonanza con l’antico turco, il finnico e l’ungherese. Lo studio degli scheletri rinvenuti fa pensare ad un’origine indoeuropea. Anche le costumanze religiose quali la venerazione degli dei in cima a montagne o ziggurat, fa pensare ad una provenienza da aree montuose. Gli Accadi che popolavano il nord della Mesopotamia, forse meno colti ma molto abili nell’arte della guerra, combatterono con i Sumeri per tutto il III millennio. Ben presto si divisero in due gruppi, gli Assiri e i Babilonesi, facendo sorgere una potenza economico-culturale essenziale per lo sviluppo delle civiltà successive. Le invasioni, anche cruente, succedutesi nel tempo, ad opera degli Amorrei, Elamiti, Ittiti e altri, determinarono la fusione del popolo sumerico con i conquistatori semiti. La fine del loro stato, Sùmer, non determinò però la fine del particolare sistema di scrittura, adottato dagli assiro-babilonesi in segno di stima e considerazione per la cultura di questo influente popolo antico. Il noto sovrano babilonese Hammurabi (1792 – 1750 a.C.) ebbe la capacità di riunire tutta la Mesopotamia in un unico regno. Condottiero e stratega militare di eccezionale valore, fu anche capace legislatore nella stesura del codice che porta il suo nome. La promulgazione del codice Hammurabi risale al secondo anno di regno, però una considerevole parte del prologo ci rinvia alla sua fine. Il codice dunque è composto da un consistente prologo, una conclusione e i 282 articoli riguardanti tutti i settori del diritto allora conosciuto. Per la sua opera giuridica Hammurabi occupa un posto centrale nella storia dell’antico Oriente; anzi, si può affermare che con lui si chiude l’epoca più feconda della civiltà mesopotamica. Ed è proprio nel codice che troviamo una regolamentazione chiara dell’attività medica nella società babilonese, segno inequivocabile del rango che i medici ricoprivano già allora. Infatti nella società assiro-babilonese il monarca era a capo di una corte di vassalli, capi militari e scribi. I sacerdoti, dal ruolo importante, erano i fautori dell’arte medica e terapeutica. Nelle 30.000 tavolette di argilla rinvenute a Ninive, 800 hanno un interesse medico. Troviamo la descrizione di molte malattie, quali la cefalea, i disturbi visivi, dell’apparato respiratorio, digerente e epatico, delle vie urinarie e degli arti. Sono descritte anche alcune epidemie, come la malaria, il vaiolo, la peste, la lebbra e un certo numero di malattie veneree. Ed è nella società assiro-babilonese che assistiamo al punto di passaggio tra il concetto teurgico e magico, di cui ho detto in precedenza. Gli antichi medici osservando il fegato degli animali, concepito quale organo del pensiero e dei sentimenti, cercavano di formulare le prime diagnosi. Pure attraverso i rituali divinatori si arrivava alla loro formulazione, come analizzando i sogni, osservando il volo degli uccelli, annotando la data di una piena ecc. Le prime terapie consistevano nell’estrazione di corpi estranei, nella medicazione delle ferite, nelle amputazioni e nei 250 medicamenti vegetali e 120 minerali noti agli antichi. Nel codice Hammurabi si stabilisce, a livello giuridico, il pagamento del medico per queste prestazioni, incluse le incisioni con attrezzi operatori su liberi e schiavi, guarigioni di ossa rotte e molto ancora. La medicina mesopotamica influenzò l’egizia, l’indiana, la greca, l’ebraica e l’islamica; lo si evince da un antico trattato sulla diagnosi e prognosi.
Durante i tremila anni di storia dell’antico Egitto, si sviluppò una considerevole tradizione medica. Lo storico greco Erodoto di Alicarnasso (484 – 425 a.C.) definì gli egizi “il popolo dei sanissimi”, questo grazie all’esistenza di un vero e proprio sistema sanitario e di un medico per ogni infermità. Anche Omero parla dell’Egitto come di una “terra fertile che produce tantissimi rimedi naturali e dove ogni persona è medico di se stesso”. Della storia egiziana, dipanatasi nei millenni, abbiamo dei riferimenti da fonti storiche antiche, quali l’opera del già citato Erodoto, la “Storia Egiziana” di Manetone (sacerdote al tempio di Eliopoli durante il regno di Tolomeo II), la “Geografia” di Strabone, gli scritti di Diodoro Siculo, di Plutarco e di Clemente d’Alessandria, in epoca ormai cristiana. Occorre però aspettare la nascita dell’archeologia e delle sue analisi dei monumenti e papiri, affinché si getti nuova luce sull’affascinante storia di questa antica civiltà. Infatti la maggior parte del materiale usato per la ricostruzione storica della complessità e durata della civiltà egizia proviene proprio da iscrizioni monumentali e da un gran numero di papiri rimasti in buono stato, nonostante i secoli trascorsi. Le ampie iscrizioni storiche risalgono al Nuovo Regno, con gli annali di Thutmosis III e le iscrizioni di Ramsete II. Tali iscrizioni storiche non sono incise solo sulle pareti dei templi in Egitto, ma anche in Asia e Nubia.
Oltre alle iscrizioni regie, sono di notevole importanza anche quelle private, specialmente le funerarie, ma anche tutti quei documenti che permettono una possibile ricostruzione dell’organizzazione amministrativa dello stato, degli avvenimenti storici (guerre, spedizioni commerciali ecc.) e, riguardo al nostro specifico interesse, della medicina applicata. Un esempio interessante e rilevante è rappresentato dalla “Pietra di Palermo”, dove sono narrate le imprese degli antichi sovrani (la mitica età dei “servi di Horus”, fino alla V dinastia). Un monumento incompleto in molte parti che però non manca delle liste reali risalenti al Nuovo Regno, fra le quali la più importante è contenuta nel “Papiro del Re”, custodita nel museo egizio di Torino. Ripercorrere, anche solo brevemente, la storia di una civiltà sorta intorno al 5000 a.C. nella valle del Nilo e che ha attraversato l’Antico Regno, il Medio Regno e il Nuovo Regno, per arrivare alle dominazioni persiane, greche, romane, arabe ecc., non è mia ambizione o finalità.
La vasta dimensione storica, ricostruita nel tempo, merita lo studio e l’approfondimento del singolo che, tra le molte verità e i tanti dubbi emersi, potrà farsi un’idea sull’indiscutibile fascino, a tratti enigmatico, di questa straordinaria civiltà sorta e fiorita prima di Cristo. Qui mi limiterò a ricordare l’influenza dell’antica medicina nella qualità della vita degli egizi e non solo. I papiri di Smith ed Erbes sono due fonti interessanti a questo scopo. Si tratta di testi frammentari, composti da appunti scritti da praticanti o di copie di testi andati perduti. Risale invece al 1600 a.C. il “Libro delle ferite”, più completo e ampio, che descrive le cure idonee per fratture, ferite, distorsioni, tumori e altri casi chirurgici. La dimensione magica della medicina è ancora molto radicata, pure quella religiosa è sostanziale e si esplicita nella venerazione di divinità che vigilano sull’esercizio della medicina. Divinità quali Toth dio della scienza, Sekhmet protettrice dei medici e Horus evocato nelle formule magiche. Interessante è la figura di Imhotep, scriba reale e gran sacerdote. Fu anche architetto, scultore e sovrintendente, gli è attribuita la costruzione della piramide a gradoni di Saqqara. Fondò la scienza medica egizia e fu divinizzato quale dio della medicina. Il papiro di Erbes racconta i tre tipi di medici che operavano nell’antica civiltà egizia: i sacerdoti di Sekhmet, mediatori con la divinità e conoscitori di un ampio assortimento di piante medicinali e minerali curativi; i medici Sun-nu, guaritori attraverso la magia; gli aiutanti (Ut) non terapeuti ma assistenti della casta medica, anticipatori della corporazione degli infermieri. I papiri ci dicono inoltre che i diritti dei medici erano straordinariamente moderni per l’epoca e che le donne non erano escluse. Infatti Peseshet, durante la IV dinastia, fu la prima donna medico. Per trovare una figura di eguale importanza nella civiltà occidentale, occorrerà arrivare alla scuola medica di Salerno, dove nell’XI secolo opererà Trotula de Ruggiero, personaggio che approfondirò nelle puntate successive. Molti dei rimedi utilizzati dai medici egizi sono riconducibili alla conoscenza popolare, si basano prevalentemente sull’utilizzo di piante e alimenti. I purganti, per esempio, erano a base di fichi, datteri e olio di ricino, mentre quelli vegetali includevano tutta la flora egizia. Si usavano anche ingredienti animali, quali il cervello e il fegato di bue o ippopotamo, il sangue di pipistrello, la bile di tartaruga e il fegato essiccato di rondine. Tra gli ingredienti minerali spiccavano l’allume, il rame, l’ossido di ferro, il calcare, il bicarbonato, lo zolfo, i composti arsenici e il carbone. Molti di questi rimedi venivano assunti mediante dei “veicoli”: la birra, il vino, il miele, i grassi animali, il midollo e l’argilla. La somministrazione poteva essere effettuata attraverso bevande, pappe, pillole e cataplasmi. L’emicrania, per fare un esempio, si curava con un cataplasma di erbe da mettere sulla fronte (principio chimico), accompagnato da un coccodrillo di argilla appoggiato sulla testa (rituale magico). Pare che nel Nuovo Regno si praticasse persino una rudimentale anestesia con l’assunzione del papaver somniferum (papavero da oppio), e la trapanazione del cranio, anche se le fonti sono incerte. La mummificazione – ovvero la pratica di conservare i defunti per tempi molto lunghi – era considerata di ispirazione magica, una specie di sfida dell’uomo contro la morte. Gli studi contemporanei sul metodo della mummificazione hanno svelato molti segreti che in passato suscitarono ammirazione e mille congetture riguardo le conoscenze degli antichi. Le tecniche più evolute risalgono a partire dalla XVIII dinastia, per arrivare al culmine verso la XXI. Il lavoro del mummificatore era considerato ingrato e si praticava fuori dai centri abitati. Segno anche questo della sensibilità egizia nei confronti dell’igiene e della profilassi. Il cadavere del defunto veniva trattato in varie fasi, dallo svuotamento della cavità cranica a quella del cavo addominale, fino alla rimozione di tutti gli organi principali che, spesso, si conservavano. Il corpo poi veniva riempito con tamponi di bende resinate e sostanze aromatiche. Erodoto scrive che fra le sostanze inserite nelle cavità, lavate precedentemente col vino di palma, c’erano la mirra e la cassia. Il cadavere dopo il trattamento veniva immerso in una soluzione che lo avrebbe conservato, e per un periodo che poteva arrivare fino a settanta giorni. L’esame chimico del liquido conservante ha permesso agli studiosi di conoscerne la composizione, costituita da bicarbonato, solfato e cloruro di sodio. La mummia intatta del faraone Tutankhamon (XVIII dinastia) fu analizzata in un laboratorio allestito nei pressi della tomba, al momento della scoperta ad opera di Howard Carter nel 1922, dove accorsero noti chimici e anatomisti da tutto il mondo per studiarla. L’ultima fase della mummificazione era il bendaggio, effettuato da mani abilissime, dopo l’essiccazione del cadavere. Anche le bende venivano precedentemente immerse in una sostanza resinosa.
Un ulteriore aspetto interessante riguardante le mummie e l’influenza che hanno avuto sulla medicina araba ed europea. I loro frammenti, imbevuti dalle sostanze nei quali erano conservati, saranno usati per tutto il Medioevo e anche oltre, in varie terapie, sia come rimedi esterni, per unzioni e fumigazioni, che come rimedi interni. Noti filosofi e uomini di cultura, quali il medico arabo Avicenna, consigliavano e sostenevano tali cure, trovando molti seguaci nell’Occidente europeo. L’elemento magico alla base di questa pratica appare palese al giorno d’oggi, quanto il profondo legame tra magia e medicina che riguardava anche le civiltà a noi vicine. La mummificazione non era dunque praticata dai detentori della scienza, ovvero dai sacerdoti e dai medici, ma da semplici artigiani. Paradossalmente erano proprio loro a conoscere meglio l’anatomia umana, a differenza della scienza ufficiale che ne era carente. Mancando la dissezione dei cadaveri, non potevano esserci delle conoscenze approfondite sulle parti interne del corpo umano. I medici esaminavano il malato per lo più attraverso l’osservazione e la palpazione. La chirurgia aveva ad ogni modo raggiunto un certo livello, come si evince dal papiro di Smith chiamato “papiro chirurgico”, per via delle raffigurazioni artistiche di parecchi atti operatori. Attraverso la chirurgia si cercava di porre rimedio a ferite gravi, lussazioni, fratture e mutilazioni in campo di battaglia. Non mancavano però anche interventi su patologie tumorali e di altra natura. Infatti, tornando alla trapanazione del cranio, l’ardito atto chirurgico potrebbe esser stato praticato fin dai tempi più antichi. I papiri lo consigliano in caso di fratture del cranio con infossamento di frammenti ossei. C’era però una dimensione magica alla base di questo atto, i medici erano spinti a praticarlo anche in caso di cefalee particolarmente violente e invalidanti, al fine di scacciare gli spiriti maligni che si supponeva ne fossero la causa. In Egitto erano sviluppate anche l’odontoiatria, l’oculistica, la neurologia, l’ostetricia e la ginecologia. Specialità mediche che si potrebbero immaginare come esclusivamente moderne ma che contrariamente erano presenti già presso i faraoni, nonostante l’inscindibile legame con la magia. Gli antichi egizi, grazie alle loro intuizioni e osservazioni, compresero l’importanza dell’igiene e progettarono le prime reti fognarie; compresero che i ratti potevano essere portatori di malattie e li allontanarono il più possibile (la presenza del gatto domestico nell’antico Egitto è massiccia, si arriva anche alla sua divinizzazione); capirono che uno stile di vita controllato nel cibo e nella pulizia del corpo poteva prevenire molte patologie. Furono gli egiziani per primi a praticare la circoncisione, al fine di limitare alcune malattie, ed a vietare la carne di maiale per via del clima specifico dell’area mediorientale. La farmacopea poi era vastissima, contemplava come abbiamo visto sostanze vegetali, animali e minerali. Ai malati, specie nel Nuovo Regno, venivano somministrate pozioni, polveri, unguenti e persino colliri, nonché ovuli vaginali e clisteri. Vasto era l’uso dei vermifughi, quali il fieno e il melograno. Conosciute erano la menta, la salvia e la camomilla. In particolare l’olio di camomilla era spesso impiegato nelle frizioni e massaggi. Molti di questi medicamenti saranno utilizzati nei secoli successivi, per arrivare fino ai giorni nostri quali rimedi nella fitoterapia. I grandi medici dell’antichità che tratterò nel prossimo capitolo, Ippocrate e Galeno, attinsero ampiamente alla fonte egizia per le loro opere. Dioscoride che influenzerà tutta la farmacologia medievale, nella sua “De materia medica”, si baserà notevolmente sulle conoscenze egizie. Opera poi tradotta magistralmente dal medico cinquecentesco Pierandrea Mattioli e citata anche oggi nei manuali di erboristeria.
Fonti:
1) Mito e Realtà, Mircea Eliade, Boria editore – Torino
2) Medicina e Magia nell’Antico Oriente, F. Fiorenzuola e F. Parenti, KeyBook
3) L’Età Antica e Greca in Storia politica universale vol.I, M. Liverani e M. Sordi, Istituto Geografico De Agostini
4) La medicina nelle civiltà antiche, corso di Storia della Medicina Prof. Mauro Martini