Giungere alle isole Svalbard in nave, tra le correnti del freddo Mar Glaciale Artico, in piena estate quando il sole non tramonta, può annoverarsi tra le esperienze più entusiasmanti della vita. Svalbard (o Spitsbergen), affascinante arcipelago, si trova alla fine del mondo, tra i paralleli 74° e 81° nord, tra il Mare di Barents e il Mar di Norvegia. Ci si allontana 500 km dalla costa settentrionale della Norvegia, i paesaggi che s’incontrano sono in bianco e nero; in fondo, in lontananza, i ghiacci eterni della calotta polare ci fanno sentire piccoli e impotenti davanti alla forza primordiale della natura. L’arcipelago è composto da alcune isole maggiori (Vestspitsbergen, Nordaustlandet, Edgeøya, Barentsøya) e tante piccole isole, tra cui la più distaccata, a meridione, Bjørnøya, l’Isola degli Orsi. Ed è l’orso polare, il magnifico orso bianco, il padrone indiscusso di questa terra.
L’arcipelago fu scoperto, con ogni probabilità, dai navigatori vichinghi intorno al XII secolo, ma fu nel 1596 che vi approdò il navigatore olandese Barents e lo chiamò Spitzbergen (montagne appuntite). Nel XVII secolo la caccia alla balena, per la quale le Svalbard si offrivano come importante base, rese rivali olandesi, norvegesi e inglesi e sorsero dispute sulla sovranità dell’arcipelago. Quando nel XVIII secolo la caccia alle balene iniziò a perdere d’importanza, alle Svalbard più nessuno si interessò. L’interesse riprese nell’Ottocento quando furono scoperti i giacimenti di carbone. Il trattato di Parigi del 1920 riconobbe la sovranità norvegese sull’arcipelago che, nel 1925, fu ufficialmente incorporato nella Norvegia ma con la possibilità di sfruttamento delle risorse minerarie anche da parte delle altre nazioni. Le Svalbard sono legate al ricordo delle prime esplorazioni polari; alla fine dell’Ottocento furono scelte come base di partenza per la trasvolata polare, conclusasi disastrosamente, dello svedese Andrèe sul pallone aerostatico “Aquila”. Ma sono specialmente legate alle imprese di Amundsen, al suo primo tentativo di raggiungere il polo in aereo nel 1910; alla traversata riuscita del dirigibile “Norge” nel 1926; alla fine tragica dell’esploratore norvegese partito in soccorso dei naufraghi del dirigibile “Italia”. L’uomo ha sfidato i ghiacci, i climi estremi di queste terre che si chiamano appunto Svalbard “costa fredda”, e tuttora l’arcipelago è abitato da chi si confronta giornalmente con le difficoltà di un ambiente ostile.
Le acque circostanti le isole sono navigabili grazie ad una corrente nord-atlantica che modera il clima artico e consente la navigazione. Ricche di carbone, un tempo erano disseminate di miniere. Si dice che in autunno la tundra e i suoi arbusti si tingano di rosso e di giallo, oche e anitre marine si riuniscono in grandi stormi per migrare verso sud, poi comincia a scendere la neve che ricopre ogni cosa, un velo candido che avvolge l’arcipelago e si fa strato per dieci mesi. Da quel momento gli orsi bianchi e le volpi artiche sono i veri padroni delle Svalbard.
Il centro più importante di questo mondo ghiacciato è l’insediamento norvegese di Longyearbyen nell’Isfjord, il più riparato e climaticamente la parte più ospitale dell’arcipelago. Fu fondato nel 1906 dall’americano John Longyear che qui creò la compagnia mineraria Artic Cola Company. Il terreno grigio scuro delle Svalbard si chiama permafrost, ovvero perennemente ghiacciato, sul quale l’uomo ha costruito edifici rialzati mediante palafitte dove conduce una vita pressoché regolare. In questo incredibile luogo ci sono la banca, l’ufficio postale, il supermercato, negozi e un museo dedicato alle ardite esplorazioni artiche, gestito dal milanese Stefano Poli (North Pole expedition museum, con cimeli, video, testimonianze dei dirigibili Amercia, Norge e Italia di Umberto Nobile). Al 78° parallelo vi è anche un’Università con 800 studenti di molteplici nazionalità, geologi e ricercatori che hanno scelto questo posto in capo al mondo per studiare il nostro pianeta.
Gli abitanti si muovono prevalentemente con le motoslitte, dove spiccano le custodie per i fucili: tutti devono saper sparare, perché incontrare un orso polare da queste parti non è un’eventualità remota. L’animale simbolo dell’Artico è un mito, un essere sacro, rappresentato ovunque da sculture e dipinti, l’ultima cosa che un abitante delle Svalbard vorrebbe è abbatterne uno; tuttavia occorre sopravvivere e armarsi fa parte della sopravvivenza. Al concetto di sopravvivenza è legato anche il Global Seed Valut, ma non per i soli abitanti della Svalbard, bensì per l’intera umanità. Si tratta di un grande deposito sotterraneo che contiene più di 850 mila campioni di semi provenienti da tutto il mondo, allo scopo di preservare la vita sul nostro pianeta. I semi sono conservati a meno 18 gradi, nel luogo più freddo abitato dalla nostra specie. Costruito nel 2008 si trova all’interno di una montagna ghiacciata, dall’ingresso sorvegliato. Dovesse accadere l’apocalisse, la distruzione del mondo, da qui l’umanità potrebbe iniziare un’altra volta, avrebbe una seconda opportunità. Come dico sempre, noi umani siamo capaci di incubi mostruosi ma anche di sogni incredibili. In queste isole il sole non tramonta mai fino a fine agosto, per poi piombare nel buio progressivamente.
I monti e il suolo appaiono senza vita, eppure libere, in mezzo al maestoso nulla vi sono le renne nane; sulle alture si scorgono i resti delle miniere che qui hanno funzionato per decenni, ora infondono un senso di abbandono, quasi di sconfitta; ebbene guardandosi in giro, tra i modesti edifici di legno colorato, incontrando i volti pallidissimi degli abitanti, si ha la sensazione che solo in un luogo remoto come questo si possa intuire il senso della nostra vita e della nostra evoluzione.
Il cammino del genere umano è fatto di ostacoli sovrumani, di notti lunghe ma anche di giornate senza fine; di un’esistenza che pare non avere senso ma che poi, all’improvviso, come nel volo dei milioni di uccelli che da qui migrano, pare trovare la giusta direzione. Tra queste isole ci sono insediamenti abbandonati come la sovietica Pyramiden (Piramida in russo), attualmente una città fantasma che in passato riassumeva la visione socialista e ideologica della sua epoca e che poi si è dissolta come l’URSS, in un grande nulla; così come ci sono gli eterni licheni che sfidano le intemperie e sono un inno alla vita, nonostante tutto. Si tratta di avere una visione, uno sguardo volto verso il grande Nord che pone limiti impressionanti ma al contempo incita a risorgere nuovamente.
Ho cominciato con gli insediamenti più a Nord del mondo per iniziare un racconto, un viaggio entusiasmante, in quello che per me è il paese dei sogni: la Norvegia. Sarà che nelle mie vene scorre ancora qualche residuo di sangue longobardo (gli antichi Winnili provenivano da queste fredde terre), oppure è una fascinazione derivante dalle letture (l’Edda, Paolo Diacono, lo stesso Tolkien) e dal cinema che li ha storicamente celebrati; il fatto è che vorrei perdermi, vagare e terminare i miei giorni tra quei fiordi verdi, con le cascate di acqua cristallina, il mare dalle tonalità smeraldo, le nebbie fitte dalle quali sembra sbucare Odino. Un viaggio fatto d’estate, di fiordo in fiordo, di città in città, piccoli e deliziosi abitati disseminati lungo le coste che sembrano usciti dai dipinti del pittore norvegese Peder Balke, fino allo spettacolo indescrivibile dell’invernale aurora boreale. Le foto raccolte in questi mesi saranno un itinerario nei ricordi, condivise con voi lettori, in un affresco di modernità e storia passata che si fondono assieme.