Leonardo Calvo, artista concettuale
L’apparente casualità degli eventi che conducono ad incontri singolari, inaspettati, a tratti rivelatori, ad un’analisi più approfondita sembra qualcosa di prestabilito nel tempo, nello spazio che conosciamo, ma soprattutto tra dimensioni che solo percepiamo. Una premessa così lunga ed articolata per dire qualcosa di semplice e universale: a volte le sensibilità umane riescono a ritrovarsi persino nell’angosciante modernità, fatta di rapporti poco profondi e tendenzialmente superficiali. Ed ecco il mio racconto, in un certo qual modo esistenziale, dell’incontro con Leonardo Calvo, artista, pittore, maestro d’arte e designer, venuto dal lontano Costa Rica nell’asburgica Trieste. Ci vediamo nella sua casa, per gentile intercessione di un’amica; la sua casa che è anche la mia, in quanto scopriamo di abitare nello stesso palazzo. Ne nasce una riflessione sulla vita frenetica dei nostri giorni, dove la vicinanza “fisica”, per così dire, non corrisponde ad alcun incontro spirituale o di sostanza. L’appartamento dalle pareti bianche, dall’ordine metodico, dalla freschezza degli oli essenziali diffusi, mette subito a proprio agio, per poi diventare una sensazione di rilassamento tra una limonata ed un buffet improvvisato in un attimo. Mi sembra quasi di non trovarmi a Trieste, nella mia città, dove nessuno ti invita a casa, dove vedi la gente nei bar e non hai la più pallida idea di come siano gli ambienti dove vivono i tuoi amici. Invece in questo luogo sospeso nel tempo e nello spazio, nello studio del pittore che parla di filosofia, di politica, di linguaggio multimediale e dell’immensa cultura Maya, con spontanea e mai saccente competenza, sento di fluttuare in un’altra dimensione. Leonardo, un nome che forse segna un destino, essendo la semantica tra i suoi massimi interessi, nasce a Cartago, in Costa Rica, sul finire degli anni Sessanta. L’Arte è nel suo DNA, trasmessagli dal prozio che aveva il suo atelier annesso alla casa, dalla nonna insegnante severa ma comprensiva che gli ha trasmesso l’idea di ordine e dai genitori che gli hanno insegnato l’etica del lavoro, oltre alla disponibilità verso il prossimo. Nella sua famiglia ognuno sembra si sia adoperato per il bene della comunità, ma in modo spontaneo, senza le ipocrite parvenze caritatevoli di un mal interpretato spirito cristiano. Gli chiedo di parlarmi del suo Paese, della sua singolare Nazione, e lui lo fa con entusiasmo, con slancio. Mi racconta della coraggiosa scelta, fatta nel lontano 1948, di non avere un esercito, mi parla del difficile percorso per la democratizzazione e la distribuzione più equa della ricchezza, in un Paese che contava poche potenti famiglie oligarchiche che controllavano il mercato del loro noto caffè; così come la fatica fatta per sottrarsi al giogo statunitense di espansione e interferenza, stretti tra il turbolento Nicaragua e il Panama, col canale conteso da mezzo mondo. Come una piccola Nazione come la sua può sfidare la più grande economia del mondo, i signori del narcotraffico, la pressione feroce di una globalizzazione forzata che non conosce barriere e ostacoli? Mi risponde con un sorriso e con la risposta più semplice del mondo: essendo noi stessi e non piegandoci alla forza bruta altrui, anzi, avendo compassione di chi si sente tanto più forte. Il Costa Rica non è un Paese privo di problemi o di corruzione, semplicemente è un Paese dove la gente ha coscienza della propria situazione, gente che sa protestare quando serve, ma che ha il più alto tasso di “felicità” del mondo. Sì, proprio così, un tasso di felicità altissimo che non dipende dal possesso e non è condizionato da una presa di posizione ideologica, bensì si basa sulla semplicità, sull’utilizzo di ciò che si ha e sul rispetto del luogo dove si vive. Infatti la costa del Mar dei Caraibi, particolarmente turistica, ha infrastrutture di minimo impatto sull’ambiente. Un humus umano e culturale di potente e positiva influenza dunque, che conduce il giovane Leonardo ad occuparsi d’arte, fin dall’università. Il suo è un approccio olistico e di contaminazione; infatti nel suo percorso accademico si occupa anche di teatro, dall’arte drammatica ai laboratori di danza, dalla fotografia al design. Studia Belle Arti e si specializza in arti plastiche e disegno, diventa discepolo dell’artista, fotografo e architetto Valenciano Alvares. Ci sono due anime che si agitano in lui, quella dell’artista alla ricerca di una sua forma espressiva e quella dell’artigiano, come si definisce con infinita modestia, dell’art director, in particolare presso la nota agenzia pubblicitaria Leo Burnet International. Una carriera di grande successo nei primi anni Novanta, quando ancora giovanissimo ascende all’olimpo di coloro che facevano le più grandi campagne pubblicitarie del mondo, con fiumi di denaro, con grandi investimenti nella cosiddetta “anima del commercio”. Ma l’artista, l’umanista, il vegetariano convinto, il figlio di una terra che gli ha imposto la ricerca dell’essenza nei veri significati dei concetti, lo allontanano da quel mondo patinato, da quella gabbia dorata che gli sta stretta. Mi spiega che nella pubblicità viene utilizzata una sola parte dell’immagine, quella promozionale, mentre lui è alla ricerca dell’altra, corporativa, che crea un’immagine coordinata tra le due parti. Cita Rossellini a questo proposito, quando il maestro del neorealismo italiano sosteneva che la tv non è altro che un grande mezzo per “massaggiare gli istinti più bassi”, ma che però poteva essere cambiato in qualcosa di diverso, di educativo e propedeutico. Lo stesso vale per la pubblicità, i principi di trasformazione che Rossellini auspicava (e che sono stati disillusi), possono conferire al concetto di promozione un altro significato.
Ed ecco che tra un esempio e l’altro, tra una spiegazione e l’altra, emergere la vera anima dell’artista. Mi fa vedere alcuni suoi schizzi, fatti in piccole dimensioni, che poi diventeranno opere estese, colorate e fortemente simboliche. Ci accorgiamo subito che sono schiava della mia epoca, che sono a mio modo un’artista “depressa”, nella perenne ricerca del lato negativo. Lui mi dice: “non presento opere negative, che raccontano solo la sofferenza; l’arte deve rieducare l’umanità a valori positivi, senza la “coercizione” del postmodernismo a cui siamo abituati”. Dove esattamente ci siamo persi noi artisti nell’ultimo secolo? Grandi o piccoli, mediocri o assoluti, in quale posto della nostra coscienza abbiamo smarrito la funzione benefica dell’Arte, confondendola con la ricerca del turpe e del violento? Della creazione artistica che diventa uno schiaffo insolente al suo fruitore? Mi chiedo tra me e me, in silenzio. Poi Leonardo aggiunge un altro concetto interessante, quello del rapporto dell’uomo con la macchina. Vissuto negativamente da molti, percepito come una dittatura dell’informatica e dell’asservimento umano ad essa, faccio fatica a vederne gli aspetti positivi. Egli invece mi propone un modello alternativo, o più semplicemente un alternativo punto di vista. La macchina può liberarci nella forma giusta, se vogliamo, se lo vogliamo veramente; “l’elettronica può virare verso l’umanesimo*, anche a livello individuale”. Come affermano la semiotica e l’ermeneutica, i simboli ed i significati hanno un valore vitale ed intrinseco nell’oggetto. L’esempio forte e vivace viene dalla lontana cultura Maya, di cui sappiamo decisamente poco, considerando anche il clamore per certe fantomatiche “previsioni”. L’arte figurativa in quella cultura ha un valore “primitivo”; le figure facilmente riconoscibili generalmente sono manufatti caratterizzati da una funzionalità pratica. Nei templi invece, quando si passa ad una dimensione superiore, astratta, tipica delle civiltà che si basano sui calcoli numerici, troviamo simboli e stilizzazioni. L’antica civiltà dunque, sepolta nelle sabbie dei tempi e delle ere, aveva compreso che l’arte figurativa realistica poteva essere riconducibile alle cose quotidiane, mentre le dimensioni della mente avevano bisogno di una simbologia, a tratti ermetica ed esoterica, dietro la quale concentrare i significati. La macchina informatica, basata su numeri e calcoli, può essere considerata una proiezione antica dell’astrazione. Il simbolo e l’archetipo però sono anche alla base di ogni produzione artistica, perché si trovano all’origine del progresso umano. La funzione dell’arte deve essere terapeutica, deve amplificare l’espressione dell’uomo. Tutti abbiamo l’arte insita nella nostra natura di animali sociali che abbisognano della comunicazione per vivere, semplicemente in talune epoche ci si allontana dai principi autentici perdendosi nel caos. L’espressione artistica di Leonardo cerca, attraverso l’astrazione, attraverso il concetto, di trovare soluzioni alla dinamica della difficile comunicazione, con uno scambio di materia tra un organismo ed un altro, organismi che possono essere menti, associazioni di idee o le loro contrapposizioni, quindi sia attraverso la difficile simbiosi che attraverso l’incontro/repulsione, in ogni caso parte dello scambio. L’eclettismo di questo artista è un fiume in piena, egli non sposa alcuna scuola pittorica o ideologica, ma lavora sui temi che lo appassionano, sul concetto organico ed esoterico della vita. La macchina è fondamentale nel suo lavoro, non solo in quello di grafico pubblicitario “etico”, nel vero senso della parola, ma anche nella ricerca artistica e conoscitiva. Studioso di astrologia, il cui metodo contemporaneo è un’antica eredità, con i testi perduti, distrutti, in ignobili incendi come quello della biblioteca di Alessandria d’Egitto, mi parla dell’approccio “cosmo biologico**” nello studio delle stelle. Se siamo tutti frutto di esplosioni stellari, se i nostri atomi arrivano dallo spazio, come avevano intuito gli antichi, allora attraverso l’avanzamento scientifico, attraverso le conoscenze della fisica, della chimica, della biologia, di tutte le scienze umane e statistiche applicate alle costellazioni e alla loro influenza su ogni organismo, possiamo conoscere la nostra vera essenza. Prima di concludere la lunga chiacchierata con Leonardo, gli faccio una domanda personale, rivolta anche alla sua compagna che ci ha nel frattempo raggiunti, l’artista triestina Alenka Deklić. Possono due artisti convivere, amarsi, condividere il privato senza sviluppare una forte rivalità? Alenka mi risponde che il problema tra loro non si pone, anche se lei è stata a lungo allieva di Leonardo. Ognuno ha il suo mondo espressivo, possono dire e trasmettere la medesima cosa, ma con modalità del tutto individuali. La rivalità non esiste, anzi, spesso lavorano assieme alla medesima opera, con consigli e suggerimenti. Leonardo, che ama gli esempi chiarificatori, cita il grande Michelangelo. L’opera non è fatta da un’unica persona, questa viene influenzata da altre persone ed altre ancora. L’opera è già contenuta nel mondo, imprigionata nel marmo, nella pietra, nella tela, nella carta, l’artista ha l’abilità di “liberarla”. Quindi Leonardo Calvo fotografa la realtà attraverso le macchine digitali, imprime la sua impronta attraverso installazioni e murales, dipinge tele, modifica le sue stesse opere con l’informatica, nella perenne ricerca del modo espressivo migliore e maggiormente fruibile che la contemporaneità possa fornire ad un artista. La sua visione ampia e multidisciplinare, trova spesso un forte legame con la fondazione ELIC e Magna Fraternitas Universalis di cui è membro attivo, basata sulle impostazioni e sul metodo del pensatore francese Serge de la Ferrière e dell’epistemologo americano David Juan Ferriz Olivares. Il nostro dialogo termina con una domanda che Leonardo rivolge a me ed a tutti coloro che si occupano di creazioni artistiche, in qualsiasi forma. L’arte penetra fino alle fibre più sottili dell’essere**, quindi il ruolo e la responsabilità dell’artista sono grandi, chiediamoci una cosa: oggi l’artista sta aiutando ad elevare il progresso umano?
*, **- concetti già espressi dal pensatore Serge de la Ferrière e dall’epistemologo David Juan Ferriz Olivares.