Tempo d’equinozio
Settembre, il nono mese dell’anno secondo il calendario gregoriano, prende in realtà il nome dal numero sette di tradizione antico romana, prima che Giulio Cesare promulgasse il calendario giuliano che spostava l’inizio dell’anno al primo di gennaio. Il mese di settembre si è sempre definito l’ultimo dell’estate e al contempo il primo dell’autunno, essendo il momento dell’equinozio (generalmente il 23 settembre). Infatti, in questo particolare momento dell’anno, la durata delle ore di luce e di buio è la medesima su tutto il pianeta.
Nell’antica Roma a settembre si svolgevano i festeggiamenti per Giove Capitolino che con Minerva e Giunone costituiva la Triade Capitolina. I festeggiamenti duravano sedici giorni e prevedevano parate militari, giochi circensi, sfilate di musici, di danzatori, atleti e giocolieri. Le statue degli dei erano portate in processione e vi si offrivano sacrifici (il verbo “immolare” deriva dalla mola, germe di grano tostato, con cui si cospargevano le vittime sacrificali). Il culto della Triade tuttavia non era solo pubblico, ma era molto sentito anche in forma privata e familiare. Gli animali simbolici ad esso collegati erano l’aquila, il pavone e la civetta. In questo mese, fin dai tempi antichi, il ciclo annuale della vite che termina nella vendemmia, era ed è profondamente sentito. In campagna inoltre, finita la lavorazione dei terreni e raccolto il foraggio, ci si preparava a seminare il grano. Per la società contadina settembre era un mese benedetto, con i tanti frutti che esso regala, oltre all’uva; le prugne, le nocciole, le noci, le mele e le pere, le giuggiole assieme alle ultime pesche e alle susine, costituivano una parte fondamentale del raccolto. Gli orti abbondano ancora di ortaggi, si raccolgono per buona parte del mese insalate, cicorie, spinaci, cavolfiori, carote e fagioli che preannunciano i piatti invernali, mentre i boschi sono il terreno per molte varietà di funghi.
Tutti questi doni della terra e della fatica dell’uomo erano le scorte che servivano ai contadini per affrontare l’inverno, magari trasformati in composte, conserve, essiccati o altro. Il mese dell’equinozio era molto sentito anche nelle culture pagane nordiche, come quella celtica, che lo chiamava Mabon; in epoca cristiana la festività prese il nome di Michaelmas in onore dell’arcangelo Michele. La festività celtica era dedicata al raccolto autunnale che si celebrava quando il ciclo produttivo era concluso, le foglie iniziavano ad ingiallire e gli animali si preparavano per i mesi freddi facendo scorte, mentre molte specie di uccelli iniziavano a migrare verso sud. Mabon, divinità di origine gallese, secondo la leggenda fu rapito dalla madre Modron (la Grande Madre) e poi liberato da re Artù, sebbene fosse un prigioniero felice. Secondo una suggestiva interpretazione, il rapimento è un atto simbolico che rappresenta il dio che si sacrifica alla madre, entra in essa e attraversa un periodo di incubazione nel mondo delle ombre, sotterraneo, dove rimarrà fino al momento della rinascita a primavera. Il sole che in questo periodo diventa sempre più debole e segna le giornate accorciandole, invita a prepararsi per affrontare l’inverno, la stagione più difficile per gli antichi. In un certo senso Mabon era una festa iniziatica, finalizzata alla ricerca; un viaggio dentro di sé, in compagnia del buio che avanza e che concilia alla riflessione sui misteri della trasformazione attraverso la morte, sempre portandosi dietro il seme della rinascita. Per noi moderni il cambio di passo della natura a settembre non è così profondamente sentito; la nostra sopravvivenza in inverno è garantita dalla società che altri hanno costruito, eppure percepiamo chiaramente il tempo che muta. Lo sperimentiamo nelle piccole cose della vita quotidiana, come l’aria che si fa frizzante e dopo mesi sentiamo il bisogno di una coperta, di un maglioncino la sera, di una tisana calda prima di dormire.
Le giornate sono più corte, il sole cala prima e la notte scende buia.
Se vogliamo interpretare il mito antico, questo è il momento di cogliere i frutti dei mesi passati ma anche di rafforzare i semi per i progetti futuri. Manca del tempo alla fine dell’anno, molte cose possiamo ancora fare, in un clima diverso dalla frenesia estiva, un clima che favorisce l’introspezione.
Per me i mesi d’autunno sono generalmente i più produttivi dell’anno, metto in pratica i progetti delle stagioni precedenti, usando le ricerche fatte anche negli anni e studiando i materiali raccolti.
Posso dire che, per quanto mi riguarda, nessun momento è migliore di questo per trasformare i frutti del lavoro in qualcosa di irripetibile, unico e maturo. Buon autunno a tutti!