Stridone, terra natale
Sdregnam sive Stridonem
Flavio Biondo (Forlì, 1392 – Roma, 4 giugno 1463), Cfr. Italia Illustrata, Istria, Roma
La frenesia dello scrivere, il desiderio di raccontare, la tentazione di allontanarsi dal troppo familiare, mi hanno impedito di scorgere una lacuna notevole nei miei itinerari istriani che crescono e cresceranno sempre più in futuro: non ho raccontato la storia della natia Stridone. Eppure l’ho sempre trovata affascinante, suggestiva, pur essendo un luogo piccolo e modesto. Gli ho dedicato in certo qual modo un romanzo, il primo, nel quale racconto la prozia Libera e la sua lunga attraversata del Novecento, poi nel sito molte menzioni e dozzine di fotografie, la storia delle sue chiese e dei capitelli, mai però un approfondimento delle origini e degli sviluppi nel tempo. Intendo farlo ora, in questa fase che mi vede lontana da quella familiarità, in un momento in cui sperimento come tutti le peggiori incognite. Per arrivare a Stridone si segue una tortuosa strada, fino in cima ad un colle dal quale si gode di un’incantevole vista, specialmente in direzione della valle dell’affluente del Quieto (ho la fortuna di avere la casa proprio sopra questo panorama).
La terra rossa circonda la chiesa di S. Girolamo ad inizio paese, a pochi metri dal cimitero; qui presumibilmente sorgevano delle antiche muraglie che circondavano il borgo e componevano, non lontano, il castrum romano. La Stridone istriana, detta anche Sdregna, alimenta un dibattito storico circa le origini di S. Girolamo, Dottore della Chiesa: dibattito arricchito anche da leggende e credenze che si perdono nel tempo, come vedremo.
Ad est, alla fine del paese, una distesa di pietra carsica e boscosa precipita verso il torrente Brazzana, affluente del Quieto, trasformandosi in arenaria prima di scendere a valle. Su di un possente masso appena sopra l’affluente sorge il castello di Pietrapelosa, imponente maniero a cui è strettamente legata la storia di Stridone.
Dal borgo si possono ammirare Pinguente, la Ciciaria, il Monte Maggiore e nelle belle giornate lo sguardo si spinge fino alla Alpi Giulie; sul lato opposto, invece, Portole e il mare.
Stridone è costituita da case modeste ma eleganti di pietra bianca e arenaria; un tempo i suoi tetti erano ricoperti da preziosi lastroni di pietra lavorata che, col passare dei secoli, hanno ceduto il passo ai ben più funzionali e meno suggestivi coppi rossi. Nel mezzo del paese si trovano la chiesa parrocchiale di S. Giorgio e il campanile in stile veneto.
La chiesa con abside poligonale ha una struttura essenziale, ingrandita durante la ricostruzione del 1627 a causa delle devastazioni perpetrate dagli Uscocchi in guerra con la Serenissima, e restaurata ancora negli anni ’30 e ’50 del secolo scorso.
L’arte lignea, povera e contadina, domina le policrome immagini sacre del suo interno; di particolare suggestione poi è il presepe giunto dall’Austria tra le due guerre. Durante i restauri degli anni ’30, quando era parroco Luigi Parentin, scrittore e storico oltre che religioso, furono trovati i resti della curva absidale della chiesa originaria, con una iscrizione sullo stipite: “MDXIII Martinus Reppa” e un’altra simile ad un graffito: “MDXXXV refecit Marinus Repa”. Secondo Parentin si tratta di un’antica famiglia istriana, nota in molte altre parti, che diede il nome anche ad un villaggio vicino Pregara. Il Martino in questione doveva essere il capovilla e a lui si deve il prolungamento della stretta sacrestia, intervento costituito dalla costruzione di basse arcate della piccola navata laterale, come attestato dalla lapide esterna: “MDLXXVII addì 29 agosto fu Gastaldo m(istro) Lorenzo Cavo”. Addossata a questa abside piatta vi è ora la sacrestia rettangolare, alla quale si può accedere direttamente dall’esterno mediante una scala di pietra. Il campanile in pietra calcarea bianca presenta un’alta cuspide ed è una costruzione davvero elegante; i lavori per la sua edificazione iniziarono nel 1882 e terminarono nel 1887, per opera del capomastro Andrea Vivoda di Pinguente. A Stridone i Gravisi, signori di Pietrapelosa, possedevano diverse case e palazzetti, nella chiesa parrocchiale vi è anche una lapide a loro dedicata.
La località ebbe nel XVI e XVII secolo una notevole vivacità culturale, alimentata dalla presenza di diverse confraternite. Era un fervido centro artigianale asservito ai signori del castello e qui confluivano persone dei dintorni per acquistare tanti prodotti, in particolare la lana lavorata grezza, il griso, specialità artigianale dei Punis, la famiglia di mia madre. Alla fine della seconda guerra il borgo fu abbandonato e molte case crollarono, dando al luogo un aspetto spettrale. La mia infanzia è trascorsa tra i fantasmi di queste costruzioni, con le scale di legno interne che cedevano, le travi che marcivano, i tetti che crollavano e gli intonaci dai colori vivaci che sbiadivano sotto le intemperie. Oggi molte di queste case sono state ricostruite e riadattate ai tempi moderni e forse, ai miei occhi, hanno perso un po’ di quell’antico fascino; vi sono anche abitazioni nuove, sorte in mezzo ai campi, segno di un passaggio temporale inarrestabile persino in questo paese nascosto.
Facciamo ora un lungo salto nel tempo e vediamo la Stridone antica, arcaica, della quale permangono solo poche tracce storiche. Come molti altri luoghi dell’Istria interna, anche Stridone fu un agro dei Celti Subocrini, poi sede di coloni romani che diedero all’abitato il nome di Stridonium. Il borgo era certamente fortificato, almeno fino a quando un’incursione dei Goti non distrusse parte delle mura. Nel 1063 Stridone diventa possedimento dei Patriarchi di Aquileia, con il nome di villa Strengi. Nel 1300 viene a far parte della signoria di Pietrapelosa che presumibilmente rafforzò il borgo con la costruzione di una cinta muraria, e rimase al Patriarcato fino al 1420, quando i Veneziani conquistarono e assoggettarono tutta l’Istria. Nel 1440 i feudatari di Pietrapelosa divennero i Gravisi, potente e nobile famiglia del capodistriano, che ampliò gli edifici e le strade d’accesso. Nel XVI secolo le campagne intorno a Stridone si popolarono di molti fuggiaschi di stirpe slava che scappavano dalle persecuzioni dei Turchi. Era abitudine in quell’epoca di dare ai villaggi i nomi delle prime famiglie che li abitarono, concedendoci in questo modo anche un’efficace visione della multietnicità delle campagne: Snidarici, Poli, Medizi, Pizzi, Sauletti, Clarici, Visintini, Sorghi, ecc. Durante la guerra degli Uscocchi del 1616 che vedeva affrontarsi i Veneziani e gli Austriaci, i pirati al soldo degli arciduchi misero a ferro e fuoco Stridone e i suoi dintorni, devastando pure la chiesa. Ciò che ha sempre suscitato curiosità e non poche polemiche in questo piccolo e nascosto paese è la diatriba sulla nascita di S. Girolamo, stimolata anche dalla presenza di una presunta lapide sepolcrale di Eusebio, padre del Santo, che si trovava nella chiesa a lui dedicata.
Questa chiesa era situata al centro del paese, appena accanto alla chiesa parrocchiale di S. Giorgio. Purtroppo, verso il 1860, l’antico luogo di culto sparì per sempre; era pericolante, con le fondazioni scoperte, dato che si era abbassato il suolo del circostante cimitero che poi fu spostato. Così ne parla mons. Agostino Valier, vescovo di Verona, giunto in veste di visitatore apostolico a Stridone il 4 febbraio 1580: Chiesa di San Girolamo, consacrata, sta nel cimitero, piccola e con dipinti (si intende affreschi murali); ha finestre e campanile, con un solo altare, con tovaglie, pallio di pelle e statua lignea di San Girolamo”. (Mons. Parentin “Incontri con l’Istria, la sua storia e la sua gente” Centro Culturale Gian Rinaldo Carli, Unione degli Istriani 1998). La chiesa fu poi ricostruita, con uno sforzo economico notevole dei parrocchiani, appena fuori dal paese dove si trova tuttora. Interessante e illuminante è la descrizione che dà del luogo il 2 aprile 1646 Mons. Antonio Marenzi, Vescovo di Trieste (Atti curiali emoniesi). Egli ci parla di S. Girolamo e di una sua piccola indagine intorno alla possibilità che questo fosse il luogo natale del Santo, ma ci racconta anche un borgo seicentesco di cui non c’è più traccia. Tre erano le ville che all’epoca appartenevano a Stridone: Pregare, Salice e Milino. Il prelato ce li descrive come luoghi montuosi, pieni di boschi e poco abitati. In direzione di Montona e il Quieto vi erano i resti di antiche muraglie che mostravano la presenza di un castello, chiamato dagli abitanti castello di Stridonia; sotto le rovine del castello si apriva una profonda grotta, nel fondo sorgeva l’acqua sulfurea e sul declivio una chiesa dedicata a S. Stefano. Il Marenzi descrive un luogo fuori dal paese, chiamato Matahea, dove si trova la strada che conduce alle terme di S. Stefano, all’epoca solo una sorgente nel Carso. In mezzo al borgo vi era la pieve di S. Giorgio, non molto grande con quattro altari e il cimitero accanto. Vicino alla pieve si trovava una piccola chiesa dedicata a S. Girolamo, sopra l’unico altare c’era la figura in legno del Santo che teneva il castello in mano e sul capo il cappello cardinalizio. Ed era proprio in questa chiesa che il vescovo vide la pietra sepolcrale che, a detta degli abitanti, sarebbe stata la tomba di Eusebio, padre di S. Girolamo. Il Marenzi cita il celebre storico Flavio Biondo e la sua Italia Illustrata che era, in versione originale, del 1430, nella quale si racconta di tale sepoltura ma anche di alcune lettere custodite in una lama di piombo che raccontavano del luogo natio del Santo. Qui si ferma il racconto del prelato ma non si fermano di certo le leggende. Una delle più interessanti riguarda la scomparsa chiesa di S. Bartolomeo e il cimitero, appena fuori dal paese in direzione Pinguente. S. Bartolomeo è tuttora la principale sagra di Stridone che si tiene l’ultima domenica di agosto, ma della chiesa dedicata al Santo non rimane che il toponimo. La leggenda narra di un tesoro di inestimabile valore che fu sepolto sotto le sue fondamenta in epoca antica e mai più ritrovato. In tanti hanno scavato in quel luogo, un tempo ricoperto da campi e ora da fitta boscaglia, però senza trovare alcunché. Il culto di S. Bartolomeo doveva essere antico, risalente ai primi secoli della cristianizzazione, ben prima che fosse soppiantato da quello di S. Giorgio divenuto patrono di Stridone. Il Santo a cavallo è rappresentato in un dipinto murale nella chiesa, in tenuta cavalleresca, nell’atto di uccidere il drago; fin dai tempi delle Crociate si diffuse tale culto e rappresentazione per il carattere militare del Santo.
Certo, un modo ben più affascinante e vincente di illustrare la santità rispetto al terribile martirio di S. Bartolomeo che fu scuoiato. Tuttavia, leggo nella perdita della chiesa e del suo tesoro raccontati dalla leggenda, la fine di una devozione antica che onorava i martiri e i fondatori del Cristianesimo. Le informazioni storiche su Stridone, a ben vedere, non sono molte e appaiono frastagliate, però alcuni punti sono certi, come l’esistenza di una Stridone romana e la narrazione costante che la vede come il luogo natio di S. Girolamo. Infatti, su una carta stampata a Lubiana nel 1784 il luogo è indicato con il segno convenzionale di città murata (come Piemonte, Pinguente, Portole e maggiori città) e con a fianco la scritta: “Stridonium, patria S. Hieronymi” (Stridone, patria di S. Girolamo). Un altro punto certo, parlando della sua dimensione sociale e culturale, è l’alto numero di artigiani che vi operavano. Si diceva infatti che era il posto dove il forestiero poteva scegliere di alloggiare in cinque locande differenti e tornare a casa con abiti, scarpe, carro carico di utensili, tutto fatto sul luogo. In epoca moderna il piccolo paese segue le vicende storiche che hanno segnato e poi devastato l’Istria. I miei avi imparavano a leggere, scrivere e far di conto presso le scuole parrocchiali, prima che la Scuola della Lega Nazione iniziasse nel 1894.
Nel 1883 Stridone passò alla dipendenza del decanato di Portole e il suo podestà subentrò, dopo secoli di feudalesimo, ai Gravisi nel diritto di patronato. Il bisnonno di mio padre ricordava di essere stato a Buttorai (villa dei Gravisi appena sopra Pietrapeolsa) l’ultima volta che i contadini portarono la decima ai signori del castello, prima che un’epoca fin troppo lunga finisse per sempre. La storia successiva vede la nascita dei nazionalismi, dell’Irredentismo molto sentito, delle divisioni all’interno di una comunità generalmente unita e delle guerre; la prima che fece finire il secolo di dominio austro-ungarico, la seconda ben più tragica che provocò lo spopolamento e la lenta agonia di Stridone. Attualmente il borgo è poco abitato, però in massima parte ricostruito, con molte abitazioni vendute a stranieri che qui giungono per le vacanze. Ahimè non ci sono negozi e i trasporti pubblici scarseggiano, però sono diversi gli agriturismi e ristoranti in paese e nei suoi dintorni che attirano gli avventori. Si può anche alloggiare nelle case vacanza presenti e una in particolare propone gli interni e la vita di un’abitazione colonica d’altri tempi: per chi cercasse quel soffio antico che parla di storia e tradizioni senza le eccessive comodità moderne di quest’epoca, a Stridone lo può trovare nella sua integrità.
Chiudo qui questo racconto storico sul mio paese d’origine, anche se tante sarebbero le cose ancora da dire. Sono certa che lo racconterò ancora, leggerete tanti pensieri e riflessioni e vedrete molte fotografie. Può darsi che sia un’ossessione tutta istriana quella di essere legati alle proprie radici, di ricercare le origini di ciò che siamo e i significati del passato sul nostro presente, fatto sta che in questo modo si scopre l’essenza del carattere di ognuno di noi e si offre il suo racconto a chi ha la bontà di leggerlo.