Leggende d’estate
Improvvisamente fu piena estate.
I campi verdi di grano, cresciuti e
riempiti nelle lunghe settimane di piogge,
cominciavano a imbiancarsi,
in ogni campo il papavero lampeggiava
col suo rosso smagliante.
La bianca e polverosa strada maestra era arroventata,
dai boschi diventati più scuri risuonava più spossato,
più greve e penetrante il richiamo del cuculo,
nei prati delle alture, sui loro flessibili steli,
si cullavano le margherite e le lupinelle,
la sabbia e le scabbiose, già tutte in pieno rigoglio
e nel febbrile, folle anelito della dissipazione
dell’approssimarsi della morte
perché a sera si sentiva qua e là nei villaggi il chiaro,
inesorabile avvertimento delle falci in azione.
Hermann Hesse
Nei versi dello scrittore e filosofo Hermann Hesse riecheggiano antiche credenze e miti arcaici, rituali dei popoli del Nord ancora presenti nel nostro mondo. Si avvicina il momento della grande festa celtica, il Lugdnasad, la festa del dio Lug. Un ricordo lontano, rimasto nei libri di storia che sussurra di come Cesare Augusto elevò Lugdunum, consacrata al dio, al rango di capitale delle Gallie, e iniziò così la festa del primo agosto. L’imperatore della più grande civiltà si unificò al culto del dio dei Galli, amalgamando conoscenza e leggi all’adorazione della Natura, all’animismo, alla divinità primordiale. Esplodevano i riti della fecondità e della vegetazione, talmente profondi e viscerali che persino Hesse li evocava nel secolo scorso; per i Celti, presso tutti i popoli nordici e in tutte le civiltà preclassiche, viveva la credenza dello “spirito del grano”, un’essenza del mondo antico che al termine della mietitura si cercava di uccidere, affinché la sua morte risultasse feconda per il raccolto successivo.
Una metafora, un simbolismo, così come la morte del seme nella terra rappresenta l’inizio di una nuova vita per il futuro raccolto. Poi, lasciando la campagna, l’elemento che domina l’uomo è il mare. Noi siamo sospesi tra i miti del Nord che ancora ci scorrono sottopelle e i lasciti dei popoli del Mediterraneo, di coloro che credevano ai misteriosi guardiani degli abissi, col potere di cambiare i giorni fasti in nefasti e di causare eclissi.
Così, rivolgiamo lo sguardo alle stelle, all’ombra della luna e guardiamo al mare come ad una distesa imperscrutabile che al contempo ci attrae e intimorisce. Un po’ come se il Leviathan, il serpente del caos primordiale che, avvolgendo nelle sue spirali il Sole e la Luna, potesse divorarci. Ci perdiamo nei racconti di Omero studiati a scuola, nell’Odissea che ci parla di Medusa, la Gorgone che pietrifica con lo sguardo.
Esiodo ci tramanda che Medusa, un tempo meraviglia degli abissi marini per la sua bellezza, fece innamorare Poseidone, e che dalla loro unione nacque Pegaso, il cavallo alato. Athena, furiosa, eterna rivale di Poseidone, si vendicò trasformando Medusa in un mostro orribile, con una corona di serpi al posto dei capelli e lo sguardo che tramuta chiunque in pietra. Una metafora anche questa, un simbolismo che rimanda ai pericoli del mare che fanno sentire l’uomo in balia degli elementi e, in un attimo, trasforma la più grande bellezza in mostruosità e morte.
Il mito, la leggenda, le credenze di epoche lontane esercitano su di noi un grande fascino e la nostra immaginazione è disseminata di spiriti, di elfi, di gnomi, di fate e di bellissime sirene che irretiscono la mente. La luce e il tepore dell’estate creano magie, mostrano Morgana, regina delle tenebre, giunta nel Mediterraneo. Dopo aver condotto Artù, suo fratello, ai piedi del grande vulcano, la strega si trasferisce tra l’Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai temono le forti tempeste e non si avvicinano; qui si costruisce un grande palazzo di cristallo ed esce dall’acqua con un cocchio tirato da sette cavalli. Getta nell’acqua tre sassi, il mare diventa di cristallo e riflette immagini di città. Fata Morgana così riesce ad ingannare il navigante che, illuso dalle immagini, crede di approdare nei porti quando invece naufraga tra le braccia della fata. La commistione tra culture del Nord e i popoli del Mediterraneo, racconta in modo fiabesco e poetico il fenomeno ottico che si ammira nello stretto di Messina e nell’isola di Favignana; guardando da Messina verso la Calabria, si vede come sospesa nell’aria l’immagine della città, e viceversa, si vede nello stretto Reggio Calabria.
Il mare, un unicum meraviglioso e misterioso, lega a sé leggende e creature fantastiche, così come i campi di grano falciati ci parlano di spiriti antichi che rinnovano la vita. In estate anche la mente più scettica e razionale si fa sedurre dalle storie dei contadini e dei marinai, capaci di far rivivere la magia che un tempo permeava il mondo intero.