7 Settembre 2020

Il frutto di settembre: le proprietà dei fichi

By admin

Fico pianta

Il fico (Ficus carica) è un arboscello allo stato selvatico, un albero, se coltivato, che può raggiungere i 5/6 metri. Ha fusto e rami ricurvi, con una scorza liscia e grigia, dalla ramaglia spessa e robusta. Un succo latteo, appiccicoso, trasuda dai rami se spezzati e anche dai piccioli. Le foglie sono grandi e larghe, alterne, picciolate e frastagliate in tre o cinque lobi. I fiori sono molto numerosi, piccoli, racchiusi sulla parete interna di un ricettacolo polposo che si apre solamente sulla sommità e maturando prende l’aspetto di un frutto a forma di pera, polposo e gustoso: il fico. La pianta è originaria dalla Caria, regione dell’Asia Minore. Coltivata fin dall’Antichità in Palestina ed Egitto, si diffuse in tutto il bacino mediterraneo diventando quasi il simbolo delle regioni che si affacciano sul mare. Da tempo spontaneo nei climi temperati sulle falesie e sulle rocce esposte a sud, oppure riparate dai venti freddi, questo straordinario arboscello che si fa albero è naturalizzato ovunque. Proveniente da esemplari coltivati (o trasportato dagli uccelli) sui vecchi muri, sui detriti, sulle macerie, sui pendii aridi, lungo le strade, le ferrovie, lo si può trovare in tutto il sud dell’Europa. Per fruttificare il fico ha bisogno dell’assistenza di un insetto, il blastophagha psenes, una vespa molto piccola che trasporta il polline dai fiori maschili contenuti nei fichi della prima generazione (primavera) sui fiori femminili fertili dei fichi estivi. La maggior parte delle razze coltivate, maturano i loro frutti senza impollinazione (partenocarpia) e forniscono due raccolti di frutti commestibili, al principio dell’estate (fichi-fiore detti fioroni) e alla fine di agosto e principio di settembre. Tuttavia, alcune varietà richiedono l’intervento della benefica vespa: occorre piantare degli arbusti selvatici o “caprifichi” nelle vicinanze degli alberi da frutto. Millenni fa, gli agricoltori avevano già notato il lavoro delle vespe, e sospendevano in primavera tra i rami dei fichi domestici alcuni rami dell’arboscello selvatico, proprio per gli insetti. Questa pratica millenaria prende il nome di caprificazione. I frutti del caprifico rimangono piccoli e cotonosi e anche i frutti della generazione primaverile, pieni di galle di blastophagha, sono immangiabili. Dunque, il solo fico commestibile è quello proveniente da razze coltivate, prevalentemente a fine estate.

Fico frutti

Zuccherati, ricchi di vitamine A, B e C, alcalinizzati, i fichi sono un alimento sano e nutriente, assai digeribile, che gli antichi hanno esaltato con ragione. I loro numerosi semi (i veri frutti) esercitano un lieve drenaggio dell’intestino e un’azione emolliente anche in molte infiammazioni interne. Se seccati sono costituiti da oltre il 50 per cento di zucchero, molto protidi e con una certa quantità di sostanze grasse, sono particolarmente nutrienti (figuravano nella dieta degli atleti greci e romani). Il decotto ottenuto dai frutti essiccati, cui si aggiunge del succo di limone, costituisce una bevanda ricostituente per i convalescenti. Gli antichi medici li prescrivevano per curare la tosse e le malattie delle vie respiratorie (decotti in associazione con altre piante, quali il marrubio, l’issopo, l’edera terrestre). Come uso esterno, si prescrivevano per i foruncoli, i panarecci, gli ascessi dentari (mezzo fico secco, cotto nel latte, come cataplasma). Il latice bianco e vischioso che esce quando si spezzano i giovani rami è una sostanza acre, irritante, assai prossima per la sua composizione al succo pancreatico. Può causare piccole ustioni orali a chi mastica inavvertitamente un picciolo del frutto e può produrre delle dermatosi alle pelli molto sensibili. Tuttavia, l’antica medicina ne faceva largo uso: se ne serviva contro i porri della pelle, come il succo di celidonia ma non ugualmente efficace. Tanti erano gli usi che si facevano della pianta e del frutto, alcuni molto curiosi. I fichi secchi, torrefatti, costituivano un surrogato del caffè; le foglie seccate e frantumate sostituivano il tabacco e il latice dei rami, con i suoi fermenti, era utilizzato come lievito per far cagliare il latte: i primi greci non conoscevano altro sistema per fare il formaggio. Gli antichi veneravano il fico, poiché aveva una parte essenziale nella loro alimentazione. La sua apparente mancanza di fioritura, il “latte” dei suoi rami stupivano, come fosse una testimonianza di un’alleanza con le forze superiori. Era l’arbusto benefico, amato dagli dèi, che si piantava vicino alle case per preservarle dalla folgore. Figurava importante anche nei miti della generazione e del simbolismo sessuale, essendo un modello vegetale della matrice: in diversi paesi mediterranei le levatrici sotterravano la placenta sotto a un fico, in offerta agli spiriti che patrocinano la pianta, con lo scopo di favorire l’allattamento della madre. A Roma il fico selvatico aveva la sua dea, Juno caprotina, che riceveva il latte in offerta. Beneficiamo di questo frutto, ahimè sempre meno presente nella grande distribuzione, per tutte le sue proprietà e per la dolcezza dell’estate che, attraverso i fichi seccati e le marmellate, ci sarà possibile assaporare anche in pieno inverno.