Salutando il mare
Arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Nazim Hikmet
Ieri ho salutato il mare dell’estate, quell’azzurro intenso che a settembre si attenua e mostra il cambiamento nell’aria che si fa più densa. In questa strana epoca di cambiamenti climatici il calore persiste anche quando il calendario racconta un’altra storia, i ricordi vengono smentiti dalla realtà e le notti allungate non raffreddano abbastanza la terra. Il mare ancora caldo mi ha accolta per l’ultima nuotata, tra le increspature dell’acqua e il fondale sabbioso. Una giornata che raccontava di una fine annunciata e le casette in legno del camping ormai solitarie, le rimesse azzurre per le barche con gente indaffarata a sistemare gli attrezzi, infondevano una strana malinconia.
I ricordi del mare popolano la mia memoria, eppure da piccola era un elemento che mi appariva lontano, un incanto e una magia dell’infinito non alla mia portata. Al mare non ci andavo spesso, poiché la vita in campagna è un continuo rincorrersi di falciature e mietiture, di raccolti, di scorte da preparare per l’inverno e poi tutto a ripetersi, costantemente, incessantemente. Quando qualcuno mi ci portava, ricordo i panini che preparava mia madre, le bottiglie di acqua del rubinetto e un vecchio costume consunto, regalo dismesso di qualche parente d’oltre confine. Erano momenti magici, indimenticabili, come le lezioni di nuoto di mio fratello, i salti da uno scoglio all’altro, le corse lungo la stradina che costeggia la spiaggia, il colore dell’Adriatico nel quale i miei occhi si perdevano. Poi si tornava a casa, stanchi e felici, col cuore che scoppiava dalla gioia e le risa che si diffondevano nell’angusto abitacolo dell’utilitaria. Mia nonna affettava il pane caldo e il pomodoro maturo faceva da companatico, il vino stava al fresco in cantina e si ascoltavano i grilli cantare per delle ore. Mi addormentavo sui libri che raccontavano di mondi lontani, scrivevo storie di fate e di avventure immaginarie sui diari colorati e raccoglievo fiori da campo nei prati ingialliti dalla potenza del sole. Ricordo mio padre stanco dalle fatiche della terra tornare a casa quando il sole calava, felice di mettersi a tavola e di vederci gioiosi per essere stati al mare. Le lenzuola di cotone bianco rimboccate da mia madre sprigionavano la fragranza del sapone di Marsiglia, il profumo dell’aria di montagna che le aveva asciugate e l’odore appena percettibile del mare rimasto sulla mia pelle.
Memorie di un tempo andato, attimi che la morte e il dolore non hanno cancellato e che ritornano come l’eterno divenire del mare. Domani tutto sarà diverso, arriveranno le piogge, dovrò sistemare le piante del terrazzo e asciugare le lenzuola in casa. Dopo mesi sentirò il bisogno di indossare scarpe chiuse, di tirare fuori dall’armadio una coperta e metterla là, sulla sedia, in attesa di sentirne la necessità. Le tisane segneranno tutte le fasi della mia giornata e cercherò sempre con gli occhi i colori dell’autunno, così vicini alla mia anima e così proiettati verso l’inverno, quando la natura si assopisce e io mi sento realmente nel mio elemento. Rivedrò un mare diverso, privo dei colori accesi dell’estate, con le tonalità scure del cattivo tempo e l’azzurro freddo, glaciale, dei giorni di bora di gennaio. L’equinozio di domani porterà il primo assaggio dell’autunno e forse le nostre vite segnate da troppi impegni e troppa tecnologia non lo noteranno subito, però poi si insinuerà e ci conquisterà giorno dopo giorno. Salutando il mare penso ad una stagione che sfiorisce, decade, come fosse la metafora della vita, della giovinezza che sento lontana e dell’età matura che impone i suoi ritmi. Quel senso di lieve infelicità di cui parla Hikmet, di persone che non ci sono più, di affetti sicuri che ci abbandonano e di quelle rughe che segnano la pelle e ci ricordano che non siamo eterni.
Forse leggo nel mare, nel suo essere eterno, la mia fragilità di essere umano che si vede sfiorire, il ricordo di tempi andati e di persone che mi amavano incondizionatamente. Così dico “arrivederci” al mare dell’estate, lo prego di non essere impietoso con me e gli faccio una promessa: tornerò a sussurrargli la mia storia.