Timau e le portatrici carniche
In mezzo alle vette della Carnia, a pochi chilometri dall’Austria, si incontra il paese di Timau (Tamau in friulano, Tischlbong in dialetto tedesco e Tischelwang in tedesco corrente). Una piccola isola linguistica germanica dove ancora si parla un singolare dialetto carinziano medievale.
Timau ha la forma di un tipico Strassendorf, un paese lineare schierato lungo la strada, e sorge nella Valle del But ai piedi delle maestose pareti rocciose della Creta di Timau e del Gamspitz. Rappresenta anche l’ultimo abitato prima del Passo di Monte Croce Carnico e dell’Austria.
Fondato presumibilmente nel 1284 da minatori provenienti dalla Carinzia, nel 1729 fu travolto da una gigantesca frana e fu ricostruito nuovamente sull’altro versante della vallata. Imponenti furono le battaglie a ridosso del borgo durante la Grande Guerra, come testimoniano l’Ossario e il Museo dedicato alla Prima guerra mondiale.
Il paese vede scorrere su un lato il verde fiume But, la strada statale, e una più antica, parallela e sull’altro lato, che si snoda in mezzo alle case. Il centro della vita del paese è la grande Chiesa del Cristo Re, un monumento imponente voluto dalla popolazione di Timau quale monito e ricordo alle generazioni future delle sofferenze patite dai popoli nei conflitti bellici.
Per costruirla ci vollero 18 anni e immensi sacrifici; i lavori vi si svolsero dal 1946 al 1964, anno della consacrazione. La costruzione di questo insolito edificio sacro è legata agli eventi della Seconda guerra mondiale, in particolare al passaggio attraverso il Passo di Monte Croce Carnico delle colonne cosacche in ritirata nel maggio del 1945. Si racconta di una donna cosacca ferita gravemente che fu curata amorevolmente da una famiglia del paese, non si salvò ma la gente le tributò un degno funerale. Accadde lo stesso ad un ufficiale di collegamento che, deceduto, fu sepolto cristianamente. Allora un alto ufficiale tedesco donò alla parrocchia una somma di denaro che fu la base per la costruzione dell’edificio sacro. Nel 1975 alla Chiesa è stato fatto dono di uno dei più imponenti crocifissi lignei d’Europa. Opera dei maestri scultori della Val Gardena, il crocifisso raggiunge i 12 metri di altezza, pesa ben 30 quintali e negli anni è diventato meta di pellegrinaggi. Dal punto di vista naturalistico il paese è sovrastato dalla Creta di Timau, con grandi solchi incisi nella parete e con la roccia che a tratti è celata da uno strato di fitta vegetazione. La valle, bacino del But, oggi ha un aspetto diverso dal passato, quando era caratterizzata dall’impetuoso corso del fiume e dalla successione di rapide.
Imponenti sono state le opere artificiali realizzate per fermarne la forza. Alla base della parete del Gamspitz sgorga una sorgente montana, il Fontanon, che con un salto di centinaia di metri confluisce nel But. Un tempo le sue acque davano movimento ad un mulino e ad una segheria, attualmente alimentano l’acquedotto e una centrale idroelettrica. La particolare parlata dialettale di Timau, il dialetto germanico tischlbongarisch, appartiene alla famiglia dei dialetti sud-bavaresi, di tipo carinziano ed è caratterizzato da un certo numero di arcaismi, da un numero rilevante di prestiti italiani e friulani, oltre che da alcune soluzioni fonetiche tipiche delle isole linguistiche tedesche a sud delle Alpi.
In mezzo a questa meraviglia paesaggistica e di tradizioni, spicca la storia delle “Portatrici carniche”, le donne della Carnia e delle valli che fornivano cibo e materiale bellico agli uomini impegnati sul fronte alpino. Delle guerre si parla sempre in termini di campi di battaglia, di eserciti, di comandanti e, in generale, di uomini. Poca attenzione viene prestata alla popolazione civile che non si trova sul fronte ma che la guerra colpisce nel profondo, in termini molto negativi. Lo scultore Antonio Tinaglia ha realizzato nel 1992 un monumento, per conto del Comune di Paluzza, dedicato a queste portatrici e in particolare a Maria Plozner Mentil, una donna uccisa da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916. Una grande lastra in metallo che in un bassorilievo ricostruisce il momento tragico della morte della portatrice, sorretta da altre figure con la gerla sulla schiena e, una quarta figura più lontana, che solleva il braccio indicando da dove provenne lo sparo.
L’opera è stata dichiarata monumento nazionale nel 2011, in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Le portatrici erano volontarie che rappresentavano una vera e propria forza di supporto ai combattenti al fronte. Dotate di un apposito bracciale rosso con impresso il numero del reparto dal quale dipendevano, erano adibite a rifornimenti sino alle prime linee, trasportando carichi di 30, 40 e più chilogrammi. La loro età variava dai dodici ai sessant’anni e potevano essere chiamate per le emergenze a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ricevevano un compenso di una lira e cinquanta centesimi a viaggio e correvano grandi rischi. Maria Plozner Mentil diede la vita alla causa, era l’anima e lo stimolo delle portatrici. Aveva appena compiuto trentacinque anni, era madre di quattro bambini e moglie di un combattente sul Carso. Fu colpita in un momento di riposo dopo un viaggio estenuante, in una località sopra Timau, e morì la notte stessa nell’ospedale da campo di Paluzza. Le sue spoglie riposano accanto a quelle di altri 1774 caduti presso l’Ossario di Timau. La storia antica e quella contemporanea si fondono in questa piccola località tra le Alpi, in questo paesino dalle case caratteristiche che ha subìto i passaggi della grande Storia, testimoniati dall’immensa Chiesa, e che ritrova se stesso nella bellezza arcaica e semplice della roccia e dell’acqua. I pochi abitanti di Timau preparano la legna per il freddo inverno, raccolgono le mele dai tanti alberi da frutto, coltivano grandi ortensie che nella stagione autunnale appassiscono. Sembra che i fronti, gli odi, le devastazioni dell’uomo siano tanto lontani, come se appartenessero ad un altro mondo e non intaccassero in alcun modo la vita quieta del borgo. Nel locale da Otto dove si mangiano i migliori Cjarsons (primo piatto tipico della Carnia), i clienti friulani si mescolano agli austriaci e la parlata locale, portata avanti dagli anziani, unisce mondi e culture in un amalgama inscindibile. Provo invidia per l’equilibrio e la quiete di Timau, per la capacità di vivere serenamente l’oggi e di mettere gli argini alle correnti impetuose e devastanti della storia.