Il significato del Natale
In questo strano dicembre ho scelto di fare l’albero di Natale e gli addobbi la prima domenica di Avvento. Non mi era mai capitato di preparare la casa per le festività così presto, dato che la tradizione triestina – alla quale mi sono felicemente adeguata negli anni – prevede l’albero e il presepe non prima di San Nicolò (6 dicembre).
Ritengo che la dimensione spirituale della nascita di Gesù Bambino sia più rilevante che mai nei tempi in cui viviamo. La pandemia ha messo in luce tutte le fragilità e incongruenze delle società occidentali, dove la tecnica sembra fornire risposte a tutte le necessità, salvo poi mostrare massima debolezza nelle crisi da contagio vecchie quanto il mondo. Ci si sente soli e le luci della speranza legate alla nascita del Signore sono importanti, almeno per chi ha la fortuna di credere ancora in qualcosa di superiore al vile denaro. Per me, lo ammetto, non cambia molto, se non in termini di riflessione sulla realtà. Il mio Natale è sempre spirituale, essenziale, un momento di raccoglimento e di pace interiore da ricercare nella semplicità casalinga e nella preghiera. Bastano degli addobbi, delle luci, dei simboli precisi in grado di coniugare tradizioni nordiche (alle quali mi sento legata) e la dimensione spirituale cristiana, che il mio cuore si sente appagato.
Certo, anche per me la crisi dell’identità europea e il crepuscolo del cattolicesimo sono dolorosi da sopportare; non sono sufficientemente egoista, rinchiusa nel mio recinto individualistico da non sentire il terreno franare sotto ai piedi. Già occorre accettare un premier che oltre a sentirsi imperatore si sente anche papa, dispensatore di raccomandazioni su come vivere interiormente il Natale, bisogna pure confrontarsi con una Chiesa debole, confusa e irriconoscibile. Non è passato molto tempo dagli attacchi terroristici a Vienna e in Francia, paese quest’ultimo dove le chiese bruciano e i cattolici vengono decapitati accanto all’acquasantiera, mentre i bombardamenti dei luoghi di culto cristiani nel Nagorno-Karabakh proseguono senza sosta. La Chiesa di papa Francesco non prende posizione, non condanna, non agisce, non c’è. In compenso ho sentito dire ad una suora una frase inequivocabile sul canale più militante della TV italiana, La7: “Non voglio sminuire l’importanza del Natale, per carità. Dico soltanto che occorre principalmente rispettare le regole del Governo”. Della serie, diamo a Cesare quel che è di Cesare e del resto – inclusi i “ferri del mestiere” – possiamo fare tranquillamente a meno. Date queste premesse, vivere il significato del Natale come momento di condivisione spirituale comunitaria è fuori discussione, rimane soltanto la dimensione interiore che occorre coltivare per non farsi travolgere del tutto.
In questo insopportabile bailamme fatto di terrorismo mediatico, contabilità macabra propinata ovunque, colpevolizzazione criminale dei cittadini e sospensione pressoché totale delle libertà individuali – soprattutto quella dell’opinione personale, trattata come un attacco alla vita altrui – non ho potuto fare a meno di pensare ai Natali della mia infanzia e adolescenza. Ho pensato in particolare al profumo del muschio, a quell’aroma così particolare che mi sembra ancora di sentire, come se i freddi venti di bora lo portassero fin qui, attraversando in un soffio monti e campagne. Sono tanti i ricordi che mi legano al mese di dicembre e il profumo del muschio che mia madre raccoglieva nell’orto, strappandolo dalle umide pietre del muretto a secco, per fare il presepe, non sparirà mai dalla mia mente.
La casa si addobbava per il Natale pochi giorni prima della festività ed era allora che andavo con mio padre nel bosco di pini che cingeva il paese. Andavamo alla ricerca del più bel pino di quell’immensa distesa sempreverde per fare l’albero di Natale. In Jugoslavia, ai miei tempi, la religione non era vietata (almeno per chi non fosse iscritto al partito comunista) ma di certo era mal vista. Per noi il Natale non esisteva, l’albero a scuola si faceva il 26 dicembre e si chiamava “albero di Capodanno”, Babbo Natale era sostituito dalla grottesca figura di “Nonno Inverno” o “Nonno Gelo” che portava i doni alla fine dell’anno. Ovviamente non era un giorno festivo e si andava a lavorare, a scuola, senza vedere da nessuna parte alcun simbolo della tradizione e della festa. Neanche a dirlo, a scuola ci attendevano compiti in classe e interrogazioni, e tanti ghigni malevoli, tante frasi offensive nei confronti della religione. Nonostante tutto alla Messa di Mezzanotte ci andavamo un po’ tutti e le tradizioni erano più vive che mai. Paradossalmente questi ricordi appartenenti a mondi ideologici assurdi sono i più malinconici. Quando le cose sono difficili, quasi vietate, è il momento in cui si apprezzano maggiormente. Così mi commuovo ricordando il presepe che facevamo, l’albero addobbato con poche cose, come le piccole palline azzurre con la Sacra Famiglia di mia nonna Eufemia; don Lino, il sacerdote di Stridone, che ci faceva portare giù dalle soffitte le figure di gesso colorato per il grande presepe della chiesa di San Giorgio. Tutto il mese di dicembre era una festa, già a San Nicolò mia madre iniziava a fare i nostri dolci natalizi – fritole e krapfen – per allietare le serate. Attendevamo con impazienza la neve, pregavamo affinché scendesse su quel nostro povero Natale.
Non c’erano doni sotto all’albero, non usavamo farli, però la famiglia si riuniva dopo la scuola e papà si faceva dare i turni di notte per stare con noi. Facevamo dei pranzi superbi, quello sì, mettendo in tavola il meglio della tradizione istriana e guardavamo la televisione italiana, così piena di luci e simboli natalizi.
Durante le festività venivano a trovarci i parenti di Trieste che qualche dono lo portavano, li attendevamo soprattutto per la cioccolata. Non c’erano giocattoli, bambole, o gli allora moderni videogame, come per i miei coetanei occidentali; noi sapevamo accontentarci con molto meno. Ricordo in particolare il signor Giacomo Punis, vecchio amico di famiglia, un austero bell’uomo maturo, con la pipa in bocca che emanava un aromatico profumo mai sentito altrove. Era sempre elegante, con i suoi loden che parevano nuovi di zecca e i modi di fare da lord inglese, casualmente nato a Stridone parecchi lustri prima. Ricordo che portava una cassa intera di arance o mandarini, li andava a prendere la mattina presto al mercato generale di Trieste per portarceli sotto Natale. Gli anni Ottanta per noi erano questo, rituali antichi, amicizie semplici e profonde, riunioni familiari ristrette intorno alla tavola imbandita. La religione poi era la vita stessa, la speranza che un giorno saremmo stati liberi, e la benedizione di un grande papa, Giovanni Paolo II, una figura imponente e rassicurante, rendeva il sogno possibile. Gli anni sono passati, la fiducia in un mondo migliore è stata sostituita dal realismo senza fronzoli dell’età matura e quella nostalgia del Natale passato si fa sentire sempre più. Le persone sono morte, hanno lasciato vuoti incolmabili e la certezza che non sarà mai più come prima. Eppure, il significato del Natale non cambia, a qualsiasi età, in qualsiasi condizione, la sua luce rischiara l’anima e illumina i sentieri della vita. Il momento del solstizio d’inverno era fondamentale per i popoli del Nord prima del Cristianesimo, quel particolare attimo in cui il giorno è breve e la notte lunga, quando la luce nascente apre il cancello del Sole. Anche i Romani veneravano il Sole nello stesso periodo dell’anno, celebravano la nascita di una nuova fase e l’avvento della luce. La storia unisce i popoli e le culture trovando punti in comune, momenti decisivi che stabiliscono i percorsi da intraprendere.
Non occorre dunque essere credenti per cogliere il significato di questo periodo, la spiritualità riguarda tutti gli esseri umani e la fede in una rinascita è un’esigenza per chiunque. Con questo non voglio dare consigli su come vivere il Natale ai miei lettori, ognuno di noi sa quali sono i sentimenti e le priorità della vita, invito solo chi mi legge a guardare dentro di sé, magari alla ricerca del bambino che era un tempo, e di abbandonarsi alla magia del Natale che non ha bisogno del consumismo dei tempi moderni. La serenità delle feste che stanno arrivando dipende solo da noi, dalla pace nel cuore che riusciremo a ricreare per rinascere con l’anno nuovo.