Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia
Secondo il calendario gregoriano la notte di Santa Lucia, considerata la più lunga dell’anno, cade il 13 dicembre ed è molto importante nel periodo dell’Avvento. In molte zone d’Italia ci sono usanze che accompagnano questa festività, eppure non tutti conoscono l’antica origine pagana sulla quale è stato edificato il culto cristiano. Alla ricorrenza era associata una figura luminosa e vi si trovano tracce in Scandinavia, in Germania ma anche nel Nord Italia. Non è escluso che alle nostre latitudini questa festività sia una reminiscenza dei lasciti culturali longobardi, antico popolo di origine scandinava (denominato anticamente Winnili e raccontato da Paolo Diacono di Cividale) poi sceso e stanziatosi in Germania, successivamente in tutto il Nord Italia e non solo. Per gli Scandinavi ma anche per altre popolazioni a loro affini, la notte che noi dedichiamo a Santa Lucia dava inizio al mese di Yule (il nostro Natale), il momento del buio e della tenebra, una specie di ritorno ai primordi del caos dal quale scaturirà la luce. I giorni che vanno dalla notte più lunga a Yule, fino all’Epifania (la germanica Bertha o la mediterranea Diana) sono i giorni del buio e in molte culture, inclusa quella friulana, esiste l’usanza di accendere grandi falò (pignarul) per rischiarare la notte. Si brucia anche il fantoccio di una vecchia, un rituale che segna la fine della tenebra e porta in sé l’inizio della luce che inonderà la terra. Anticamente si trattava del culto di Jana o Janua, dea che era un cancello di transito verso l’anno nuovo e che trovava un corrispettivo nella cultura romana nel dio Giano/Janus, che diede il nome al primo mese dell’anno. Gli Scandinavi chiamavano la notte più lunga dell’anno Langnatt o Lussinatt, momento buio e pericoloso governato da Lussi (la Luminosa), un’entità femminile che regnava sugli spiriti ed era regina dell’aldilà, con dietro di sé un codazzo di elfi, fate, gnomi e troll.
Questa leggenda potrebbe essere legata alla mitologia vichinga – che troviamo esposta nell’Edda di Snorri Sturluson – e racconta della “caccia selvaggia” che Odino conduce d’inverno, o di Bertha (progenitrice dei popoli germanici), figura femminile suggestiva connessa con Lussi ma anche con altri miti lontani, quali le Parche della Grecia, le Norne germaniche, le Lamie baltiche e la Brighit celtica (cit. Emanuela Chiavarelli, citata da Marco Maculotti in un articolo). Per le antiche popolazioni scandinave il periodo di Yule è simile a quello del Samhain per i Celti, ovvero la fase dell’anno in cui il confine tra il mondo dei morti e dei vivi non è definito e gli spiriti o le entità magiche si muovono liberamente. Nelle leggende popolari queste antiche paure del buio nordico, della notte infinita e del gelo che ricopre la terra, si tramutavano nella credenza che i bambini disobbedienti potessero essere rapiti dalla Lussi – che scendeva dal camino – e portati nel mondo dei morti.
Un po’ come la Befana che porta i doni ai bambini buoni e punisce quelli cattivi con il carbone. Lussi era una divinità molto severa, imponeva che durante la sua notte non si svolgesse alcuna attività e vegliava affinché i preparativi per la grande festa di Yule fossero portati a termine. Il Cristianesimo ha imposto su questo impianto di credenze e tradizioni il culto di Santa Lucia, ovvero di Lucia di Siracusa nata nel 283 d.C. e martirizzata il 13 dicembre 304, durante la grande persecuzione di Diocleziano. Anche il nome della Santa significa “luminosa” e “lucente”, portatrice di luce e a volte rappresentata ornata da una corona di candele (quattro come le stagioni o dodici come i mesi).
Tuttavia, il passaggio da un culto all’altro non è stato immediato, si è protratto per molto tempo e ancora nel Medioevo la credenza degli Scandinavi nel mito nordico era particolarmente sentita. L’esempio della Svezia poi è emblematico, la tradizione, tuttora, è un innesto tra la rappresentazione pagana (le bionde ragazze vestite di bianco con le candele in testa) e la canzone partenopea ottocentesca dedicata a Santa Lucia cantata per la ricorrenza. Ciò che si riscontra in entrambi i culti è l’aspetto terrifico della portatrice di luce. La Lussi, signora dell’inverno, è oscura come una Gorgone e punitiva nei confronti di chi non rispetta i riti, mentre la nostra Santa l’abbiamo vista spesso rappresentata con gli occhi in mano, poiché il suo atroce martirio consisteva nell’asportazione dei bulbi oculari. L’occhio, in molte culture classiche, era un simbolo solare e nel periodo in cui la luce muore, esso viene rimosso per poi rinascere col solstizio o con la festa di Yule, il 25 dicembre o il nostro Natale che vede la nascita del Salvatore, quando si celebrerà il suo ritorno. Questi suggestivi miti lontani, l’amore per il grande Nord, i riti della religione cristiana, personalmente li incorporo ad un bellissimo ricordo tramandatomi da mia madre. Il culto di Santa Lucia, ancora nell’Istria degli anni ’50 e ’60, era sentito e festeggiato dalla popolazione. La stagione fredda nel piccolo paese di Stridone arrivava presto, nevicava e spesso gelava già nei primi giorni di dicembre, e per Santa Lucia il paesaggio appariva delicatamente imbiancato. Mia madre si alzava presto e con nonna Eufemia, poi anche con mio papà da fidanzata e giovane sposa, si recava al paese di Santa Lucia, sei chilometri di distanza tutti in discesa (Stridone è a quasi 500 m sopra il livello del mare).
Con loro si incamminavano tanti altri paesani e amici, formavano una specie di processione che, a piedi, raggiungeva la chiesa dedicata alla Santa nel piccolo borgo che porta il suo nome. Il freddo era tanto, il gelo tagliava la pelle del viso con i refoli di bora, però la gioia pervadeva la processione che intonava canti durante il percorso.
La messa si svolgeva nella piccola chiesetta tuttora esistente, tanto piccola da non poter contenere tutta la gente che giungeva dai paesi circostanti per assistere alla funzione. Molti si adattavano a stare fuori, in piedi e al gelo, mentre all’interno due sacerdoti officiavano il rito: uno in italiano e l’altro in croato. Don Brumini, un magnifico prete che ho avuto la fortuna di conoscere, cantava con mia madre e altre ragazze dalla voce melodiosa i canti in italiano dedicati alla Santa, mentre il parroco della vicina Portole faceva altrettanto in croato con un altro gruppo. Era un susseguirsi di melodie, lingue, liturgie e preghiere che nella diversità ricreavano l’unità tra i credenti. Finita la messa tutta la gente si recava nella locanda del signor Bogdan che per l’occasione preparava un maestoso pranzo. Si serviva il tacchino arrosto nel forno con le patate, i crauti (capuzi garbi) con la luganega fatta in casa, tanto buon vino e un tripudio di fritole (castagnole) che profumavano di uvetta, zucchero e grappa.
Il locale aveva un’ampia cucina al piano terra e una sala limitrofa per gli ospiti, però a mia madre piaceva andare al piano superiore, dove un ambiente più raccolto e meno caotico consentiva di pranzare in tranquillità. Da brava sarta quale era, il signor Bogdan la premiava con un piatto d’arrosto più ricco degli altri, poiché le donne della sua famiglia si vestivano da lei ed erano molto soddisfatte. Mio padre se ne accorgeva e lo sottolineava sempre, però sotto sotto gli faceva piacere. Finito il pranzo – che era una vera e propria festa, uno scambio di auguri e di strette di mano (i doni non esistevano) –, la comitiva dirigeva verso casa. Occorreva ripercorrere nuovamente tutti i sei chilometri ma questa volta in salita, con i tornanti, la neve che cadeva copiosa e il freddo che aumentava. Il buon cibo e le bevande alcoliche rendevano quella marcia meno difficile e in men che non si dica si raggiungeva Stridone. Tutti gli anni mia madre mi racconta questa storia, perché la stresso così tanto per risentirla che si deve arrendere. Mi sembra di essere lì con lei, con mio padre e la nonna, mentre risaliamo il ripido monte innevato e ricerchiamo la luce dell’anima di cui Santa Lucia, o la Lussi, sono portatrici.
I rituali ci raccontano tanto della nostra storia, si perdono tra le tradizioni del passato e rinascono come luce nuova per illuminare il presente. Nella notte più buia dell’anno, alla fine di un altro anno nefasto, ricercare la luce nelle tenebre sarà un compito imprescindibile e il ricordo dei miti antichi sosterà questa magnifica impresa.