15 Dicembre 2020

La bellezza dell’inverno

By admin

La bianca betulla
sotto la mia finestra
s’è coperta di neve
come d’una coltre d’argento.

Sui rami piumosi
dalla cimosa di neve
si sono sciolti i fiocchi
d’una bianca frangia.

Sta ritta la betulla
nella quiete assonnata
e arde la neve
nel fuoco dorato.

Ma l’alba, pigra
girando intorno,
cosparge i rami
d’un argento nuovo.

Sergej Aleksandrovic Esenin

 

Il pallido sole di un pomeriggio invernale colora il mare d’argento, lo stria con l’oro dei suoi deboli raggi filtrati da uno strato di nubi. La collina difronte è il verde cupo delle conifere, intramezzato dal rosso dei tetti e interrotto dalle palazzine bianche affacciate sul mare. Il golfo, in questa parte della città, sembra un fiume d’acqua incuneatosi nella terra, profondo e calmo, percorso da grandi navi trainate dai rimorchiatori. Oltre la verde collina ce ne sono altre e altre ancora, fino al luogo della mia infanzia, dove il maestoso inverno un tempo era magico. Le copiose nevicate di questo periodo dell’anno erano una coltre bianca che ricopriva la realtà e faceva volare lontano l’immaginazione.

 

Mi sono innamorata dell’inverno fin da piccola, della sua rigidità che non fa sconti, della sua purezza essenziale, dei suoi decisi contrasti cromatici, del gelo che taglia la pelle nelle mattine di gennaio e del calore del fuoco acceso che è simile ad un abbraccio. I tempi sono cambiati, gli inverni sono meno rigidi o magari vicino al mare lo sono sempre stati, di fatto gli alberi innevati – come nella poesia di Esenin – non posso averli sotto la finestra.

 

Però posso ricercare la bellezza nei ricordi, spegnendo la televisione foriera di tristezza e angosce, facendo inondare la casa dalla lieve musica strumentale natalizia, accendendo dell’incenso e guardando le fotografie scattate anni fa. Penso alla lontana Norvegia, alla sua notte infinita illuminata dalla meraviglia di un’aurora boreale, al ghiaccio perenne delle Isole Svalbard, al mare cristallizzato dell’Islanda, ai paesaggi in bianco e nero dipinti da Peder Balke. La bellezza dell’inverno non ha eguali e le nostre montagne, dalle Alpi agli Appennini, sono ricoperte da una coltre di candore. Ho letto che da tempo le nevicate ad alta quota non sono state copiose come quest’anno, un anno tanto difficile per noi umani che alla bellezza pensiamo troppo poco. Questa mattina sono uscita con i cani che era ancora buio, la città assonnata accennava ad un debole risveglio e il traffico lentamente si faceva risentire. La luce di un lampione illuminava un’aiuola e, sull’erba esausta, la brillantezza di ghiaccio della brina, i suoi piccoli cristalli bianchi che parevano sparsi dalle fate volate via un attimo prima. Mi sono fermata ed ho assaporato quell’incanto, in solitudine, come se la città non ci fosse più e il tempo mi riportasse all’infanzia. Da piccola amavo la brina, per me era una magia e non volevo credere che si trattasse soltanto di un fenomeno atmosferico. Guardavo estasiata i fiori di ghiaccio che si formavano sui vetri, mi sembravano meravigliose creazioni fatte apposta per me dalle fate o dalla buona strega del Nord, giunta attraverso le pagine del mio libro preferito, Il meraviglioso mago di Oz. Poi, negli inverni rigidi, le strade ghiacciavano e il brutto asfalto diventava sfavillante, ricoperto di diamanti rischiarati dalla luna. Tutti gli adulti erano in difficoltà, imprecavano e uscivano con gli scarponi pesanti e senza macchine. Era il momento che amavo di più, quel silenzio irreale, la natura che si impossessava del mondo e demoliva tutte le certezze dell’uomo.

Non ho mai smesso di sentire quella magia, di cercare le fate e di credere alla strega del Nord, anche se invecchiando la cupezza del tempo che vivo tende a schiacciare la bellezza di un ricordo, a soffocare i sogni dell’infanzia lontana. Eppure, attraverso la parola scritta il sogno si ricrea, le immagini riprendono forma e i personaggi delle fiabe del magico inverno mi vengono a trovare. Mancano due capitoli alla fine di un libro, di un’opera che racconta un passato difficile e ci sono momenti in cui mi sento spaesata. Quest’epoca così cruda, piena di malvagità e di perfidia, tiene a distanza la bellezza di quell’inverno immaginifico che è un rifugio dell’anima, tanto da incupirmi e rattristarmi. Poi, per magia – perché è di questo che si tratta – accade una piccola cosa, per i più insignificante o fastidiosa, come una brinata, ed ecco che tutta quella bellezza esplode, si insinua sottopelle e diventa il caldo abbraccio di un fuoco acceso in una notte di ghiaccio.

L’inverno con il suo gelido tocco porta via la tristezza, quell’ombra cupa che sa di cemento, asfalto, traffico e regole, lasciandomi la limpidezza di cristallo del ghiaccio e il biancore assoluto della neve. Mi ritroverò ancora alla finestra della mia vecchia casa, con gli alberi innevati e il paesaggio tinto di bianco, mi stringerò nello scialle e terrò in mano una tazza fumante, sarà bello e prezioso come sempre.

Però il presente è adesso, in questo preciso istante, e nessuna bruttura della vita può depredare la bellezza dell’inverno se l’anima non lo permette. Condivido con voi questa bellezza nelle parole e nelle immagini, in attimi immortalati che parlano al cuore e raccontano una storia di magia infinita.