Febbraio, tempo di purificazione e rinnovamento
Odorano le stelle di febbraio,
se al crudo del rovaio
il calicanto nella notte esala.
Una goccia di miele,
una goccia di cera,
sopra ramaglia nera
chiama l’ape fedele.
Ah, quel filo d’aprile
così saldo ed acuto,
quel profumo sottile
dentro il gelo perduto.
Là nel fondo del tempo al coro, all’eco
delle stagioni mi rapisce il senso
che non succede e reca
memoria della nostra ancor più intensa.
Un profumo, un ricordo,
che in sé vive ignorato,
un respiro, un accordo
alla morte affidato.
Luigi Fallacara
Febbraio dipinge il sole sulla terra addormentata, ghiacciata dalla brina, adorna di alberi scarni. L’aria profuma di cambiamento e nelle solitarie strade qualche primula indomita spunta timidamente. Un mese di cristallo dove tutto brilla; il mare, uno specchio che riflette il cielo, la roccia bianca che lo contrasta. Le purificazioni di febbraio riguardano l’anima, l’essenza mondata dalle impurità accumulate e il ritorno al candore primordiale.
I Romani dedicavano il mese di febbraio alle purificazioni, al dio etrusco Februus, tramutato nel femminile Febris, che dalla morte faceva rinascere la vita, guariva i malanni dell’uomo e della terra, apriva i cancelli alla nuova stagione. Grandi erano le celebrazioni e le donne sfilavano per strada portando fiaccole accese, anticipando di secoli la Candelora. A Iunio Februata, Giunone Purificata, si offrivano sacrifici nella speranza di scappare alle malattie e ai lutti, poiché ogni dea della morte era anche portatrice di vita. Il 14 febbraio culminava la Februalia fondendosi alla Lupercalia, il dio Fauno e la dea Febris inducevano alla “febbre d’amore”, quel momento che per noi Cristiani sarà San Valentino. Dal nome della dea derivò quello del mese di febbraio, la purificazione dell’anima e del corpo, prima della rinascita a primavera. La Chiesa cristiana degli albori dedicò il 2 febbraio alla presentazione al tempio del Signore. Il neonato presentato e la purificazione della madre: se avesse partorito un maschio avrebbe dovuto espiare per venti giorni, una femmina il doppio del tempo. Il dolore di essere donna, il senso di colpa inculcato e celebrato come una scure che si abbatte nei secoli dei secoli. Fino all’800 la puerpera non poteva entrare in chiesa senza una particolare benedizione; la Purificazione della Vergine aveva preso il sopravvento sulla presentazione al tempio di Gesù e si tramutò nella Candelora. Le candele erano la luce che squarciava la tenebra dell’inverno e i ceri benedetti si conservavano in casa; sarebbero stati accesi in caso di pericoli, violenti temporali, per un familiare in guerra, un moribondo, per le epidemie frequenti o per un parto difficile. I nomi Februa, Februlis, Februata o Februalis non sono altro che epiteti della dea Giunone, colei che fa uscire dopo il parto la placenta e quindi purifica la nuova madre.
Il culto romano poteva essere esteso alla Terra, al parto di un nuovo anno che si sarebbe consumato nelle stagioni della rinascita e della maturità, in primavera e in estate; della sfioritura e della morte di un ciclo vegetativo in autunno e inverno.
L’eterno divenire, il tempo che rincorre se stesso e quella ciclicità che la Natura impone a tutti i viventi, il senso d’impotenza e di paura che gli antichi mitigavano purificandosi. La terra si rivolta, i campi si preparano per le sementi che rinnoveranno la vita. Febbraio segna un nuovo inizio e nel gelido inverno, nei venti freddi di tramontana, la natura germoglia di nuovo.