La dea Primavera
L’equinozio di primavera giunge anche quest’anno, per niente interessato alle nostre chiusure e paure. La data in cui il giorno e la notte hanno la stessa durata; un equilibrio perfetto ma anche la transizione da una fase ad un’altra. Gli equinozi sono sempre stati momenti in cui si celebravano nuovi legami e profondi rituali che servivano a lasciar andare alcune cose dalla propria vita. Insomma, il momento in cui chiudere una situazione e iniziarne un’altra. Per i Celti la festa di primavera, di Ostara/Eostre, apriva la stagione delle semine e sanciva una rinascita, un rinnovamento sia fisico che spirituale. Dopo il ritorno della luce che i popoli del Nord festeggiavano con l’Imbolc (festa del primo febbraio, a cavallo tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera), le fredde terre accoglievano i giorni più lievi, celebrando la dea Ostara/Eostre (Eoustur-monath). Tuttora, nel mondo anglosassone, la reminiscenza del mito pagano dà il nome alla Pasqua, Easter, per i sassoni Ostern. Entrambi i termini riconducono a Eostre, antica divinità collegata alla rinascita.
La dea era una sorta di Venere, chiamata pure dea dell’alba e stella dell’Est, proveniente da oriente come tutte le divinità portatrici di luce che risvegliano il ciclo della vita. Le sacerdotesse del mondo celtico consacravano candele per il rituale dedicato alla dea, celebrata con la fiamma che doveva ardere fino all’alba del giorno seguente. La divinità spesso veniva raffigurata con la testa di lepre, animale totemico associato alla fertilità primaverile. La lepre della dea Eostre (Ostara) portava le uova di primavera, uno dei massimi simboli di rinascita legati al cosmo e alla fertilità (presente anche nel mito dell’araba fenice).
Gli antichi Romani dedicavano i mesi alle loro divinità già nel nome; il primo mese del calendario arcaico era marzo, dedicato al dio delle guerra e dell’agricoltura Marte. Dal primo al 24 del mese si celebravano le feriae Martis; il 14, giorno precedente le celebri idi, si svolgevano gli Equirria, corse di cavalli nel Campo Marzio e riti per la purificazione dell’esercito. Il 15 si apriva il periodo della guerra, e i sacerdoti preposti al culto di Marte (i Salii) danzavano in una processione con gli scudi. Poi il culto mutava, da Marte si passava a Minerva (Quinquartus) con grandi rituali di purificazione. Alle calende (il primo del mese) si celebravano i Matronalia, in onore di Giunone Lucina, divina protettrice della nascita, celebrata con doni nel tempio sull’Esquilino. Le idi vedevano la festa di Anna Perenna, dea che presiedeva l’inizio del nuovo anno e i cui rituali si celebravano nel bosco sacro lungo la via Flaminia. I culti dei popoli antichi hanno lasciato tracce nella nostra cultura, nel nostro incerto incedere lungo i cammini della civiltà. Sono sensazioni, ricordi ancestrali, lontane reminiscenze che in primavera riappaiono con forza. La natura si risveglia nel suo immenso splendore, fa fiorire rami finora spogli in varietà di colori brillanti, in bianchi assoluti, schiudendosi in foglioline smeraldo che sembrano spuntare come un miracolo.
La dea Primavera sparge petali e profumi persino tra il cemento delle città, spunta nella sporcizia della nostra inciviltà, tra reti metalliche consunte e industrie in declino, mostrandoci il suo potere, la sua forza sovrastante ogni cosa, la sua Bellezza eterna. Impossibile non credere alla dea, non sentirla, non percepirla sopra e sottopelle. Basta uscire, seppur imbavagliati da mascherine e con l’angoscia di essere dei polli (chiusi la sera, riaperti la mattina) e guardare la potenza della dea: fiori, alberi, erbe mediche, uccelli migratori, profumi di vita. Tra lo smog e le macchine, l’asfalto e i pali della luce, la dea si mostra a chi la vuole vedere e invita alla rinascita.
Mai come ora abbiamo bisogno di rinascere, di rigenerarci, di scrollarci di dosso le scorie di un anno tremendo che infila i suoi lunghi tentacoli nel futuro. Non so quando ne usciremo né come ne usciremo, so però che la dea Primavera ci sarà ancora, ci sarà sempre a inondarci con la sua sconfinata Bellezza.