8 Aprile 2021

Addio, reverendo

By admin

Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.

San Tommaso Moro

Questa è una giornata triste, il mio cuore piange. Stamani se ne è andato don Lino Rakar, il prete che mi ha accompagnata nelle fasi salienti dell’infanzia e dell’adolescenza. Era stato per molti anni il prete di Stridone e una guida spirituale negli anni del regime jugoslavo. L’incontro con don Lino è stato davvero particolare e mia madre lo ricorda sempre. Mancavano pochi giorni alla mia nascita, nel lontano agosto del 1973, e lei, da spericolata quale è sempre stata, ha voluto partecipare alla messa e alla processione del 5 agosto nella chiesa dedicata alla Madonna della Neve vicino a Sterna. Con il suo pancione, l’abito premaman che si era cucita da sola e un viaggio di qualche chilometro sul tremendo sterrato delle nostre strade, aveva raggiunto la piccola e deliziosa chiesetta tra le verdi fronde degli alberi, in aperta campagna. Qui don Lino avrebbe celebrato la sua prima messa e incontrato i tanti fedeli che nessun regime poteva tenere lontano dalla devozione e dalla tradizione. Quando giunse il momento della comunione e la piccola chiesa si riempì fino all’inverosimile, don Attilio, l’allora parroco di Stridone e il prete che mi avrebbe battezzata, fece venire avanti mia madre e disse a don Lino: “Dai la comunione prima a lei, per carità!”. Quattro giorni dopo mia madre mi partorì all’ospedale di Capodistria, dopo una corsa in macchina. Passarono gli anni e io mi affezionai a don Zović, un dolce e paziente sacerdote che mi insegnò a pregare; poi, purtroppo, anche lui se ne andò e tutti attendevamo il sostituto che ci era ignoto. Fu allora che don Lino ricomparve, accompagnato a casa nostra da mio fratello che era andato a curiosare nella canonica al suo arrivo. Per anni il giovane prete si occupò della nostra educazione religiosa, insegnandoci il Catechismo e facendoci frequentare la sua abitazione come fosse un oratorio. A casa di don Lino vidi tutti i kolossal hollywoodiani ad argomento religioso e per il mio preferito, Ben Hur, mi donò anche il libro di Lew Wallace da cui il film è tratto e che custodisco gelosamente. Tra gli ospiti della canonica c’erano gli esuli che ritornavano al paese e non avevano un alloggio, molti preti di passaggio e un raffinato giornalista, ai miei occhi un intellettuale, che disegnava magnificamente e che mi insegnò la passione per l’arte. D’estate erano tutti lì e il signor Giacomo, amico di famiglia, divenne una specie di padre per don Lino. Per il suo funerale, diversi anni fa, ricordo il bellissimo gesto del prete che raccolse un pugno di terra rossa del giardino di Giacomo e lo mise nella sua tomba. Tuttavia, era negli anni ’80 che l’impegno di don Lino si vide maggiormente ed ebbe una grossa influenza anche su di noi. Dopo l’elezione di Giovanni Paolo II, la Chiesa dei paesi dell’Est decise di seguire l’esempio coraggioso del papa polacco che sfidava il regime, e tutti i preti, per decenni schiacciati e umiliati dal potere comunista, alzarono la testa e iniziarono a predicare aperture e libertà. Fu così anche per don Lino che, senza paura e senza temere le conseguenze, disse alla messa di Mezzanotte che si auspicava la libertà religiosa, al tempo negata. Il giorno dopo gli uomini della polizia politica provarono ad intimidirlo ma lui non diede retta a nessuno e continuò nel suo operato.

Chiesa di San Giorgio – Stridone

Lo ricordo come un ottimo insegnante di religione e andare a Catechismo d’estate, quando tutti avrebbero voluto dimenticare i libri e lo studio, per me era fonte di conoscenza imprescindibile. Negli altri momenti dell’anno seguivamo assieme a lui ogni rituale dedicato alle festività; dal presepe da fare per Natale alle raganelle a Pasqua, dalla processione tra gli altari improvvisati per il Corpus Domini ai lumini accesi per i Morti. Pensando a quest’ultima tradizione, ricordo che don Lino ci conduceva su un altipiano al calar del sole, da lì attendevamo la notte e la vista del cimitero che si illuminava di decine di lumini; era un modo per vincere la superstizione ancora viva nelle comunità rurali, l’arcaico ricordo pagano della paura dei defunti che ritornano a tormentare i vivi.

Chiesa di San Girolamo – Cimitero di Stridone

Negli anni ’90 le nostre strade si divisero e tante furono le discussioni tra mio padre e don Lino. Le omelie del prete avevano preso una brutta piega nazionalista (croata) e l’antipatia per le comunità degli italiani – di quella di Stridone mio padre fu presidente per un breve periodo – diventò a dir poco manifesta. Per me questo fu motivo di amarezza ma non ci pensai molto, oramai la mia vita era altrove e di Stridone non mi preoccupavo più. Con gli anni realizzai che quell’acceso ed eccessivo nazionalismo era frutto di una vita difficile, da inviso al regime, che rendeva la persona frustrata e sola. Una condizione ben nota alla mia famiglia. Così, dopo un buon decennio, mi riavvicinai al prete che mi aveva insegnato tanto, preparandomi per la Comunione e la Cresima e facendomi capire che avevo un buon cervello, non adatto ad un’esistenza banale. Il mio primo libro, Libera. Una storia istriana, lo colpì molto e ne fu entusiasta. Lo regalò a tutti, persino al Vescovo e mi elogiò pubblicamente in chiesa, provocandomi un certo imbarazzo ma anche tanta riconoscenza. Negli ultimi anni le sue precarie condizioni di salute lo hanno obbligato a cambiare molte abitudini di vita, da buona forchetta era costretto a stare a dieta, a prendere farmaci; gli interventi chirurgici complessi e il malessere fisico ne hanno minato la salute e io lo vedevo sempre più fragile e rassegnato. L’ultimo colpo, il più vigliacco, glielo hanno dato alcuni parrocchiani chiedendo la sua rimozione dalla missione pastorale; ne ha sofferto moltissimo, lo so per certo, si è sentito tradito e umiliato dalle persone che conosceva da decenni. Non aveva mai sopportato i nostalgici della Jugoslavia, quelli che negli ultimi anni hanno lustrato i monumenti ai caduti e dipinto stelle rosso sangue, tanto da invocare la Vergine affinché pregasse per noi; anche per questo da alcuni era particolarmente mal visto. Alla sua lotta per la fede ho dedicato un articolo su questo blog (Don Camillo e i Pepponi d’Istria) il cui ricordo oggi mi provoca un magone. Una parte della mia vita se ne va con don Lino, quella parte d’infanzia nel regime che mi imponeva la scuola a Natale, vietava i simboli religiosi pubblici e ridicolizzava la fede. Eppure, anche grazie al prete di Stridone, vivevo con gioia quei momenti, sistemando le statue del grande presepe, addobbando gli alberi presi nei boschi con pigne colorate e cantando Tu scendi dalle stelle nella Santa Notte. Lo chiamavo “reverendo”, come si usava nei secoli andati, e quando ritornavo in quella vecchia canonica malandata, mi sembrava di tornare bambina. Che la terra ti sia lieve, reverendo, ci incontreremo ancora, come tu mi hai insegnato.