Il bosco, le colonne del cielo
Il ribelle passa al bosco, si ritrae nella foresta, si dà alla macchia.
Ernst Jünger
Molti secoli dopo la sua comparsa sulla Terra, l’uomo scoprì il fuoco. La mitologia greca narra di Prometeo che lo rubò agli dèi e venne per questo punito tremendamente: dovette rimanere incatenato a una ruppe, mentre l’avvoltoio mandato da Zeus gli divorava il fegato. Presso tutti i popoli primitivi esistono leggende riecheggianti il mito di Prometeo, con un preciso significato allegorico: il ricordo di un atto coraggioso compiuto da un uomo temerario e irriverente, che forse fu veramente punito dagli altri, pavidi e spinti dall’inconscia paura del sacro e dell’ignoto. Probabilmente un giorno, mentre un gruppo di uomini assistevano atterriti alla caduta di un fulmine su un albero che divampava in incendio, uno di loro, caratterizzato da una spiccata curiosità umana, con un balzo raggiunse il fuoco e s’impadronì di un tizzone ardente e lo riportò in mezzo agli altri. Quest’uomo aveva davvero rubato il fuoco agli dèi. Da quel giorno la vita della nostra specie mutò notevolmente e, tra le altre cose, si iniziò a sfruttare il patrimonio di legname che il bosco offriva. Non solo si bruciò la legna per riscaldarsi, illuminare le tenebre e allontanare le fiere durante la notte, ma si imparò a lavorarla, a servirsene per costruire capanne e imbarcazioni, a usarla come materiale di scambio, abbattendo centinaia e migliaia di tronchi.
I boschi un tempo erano infinitamente più diffusi di adesso, occupavano vaste zone in tutti i continenti. Troviamo ancora tracce di queste immense distese verdi, tracce di grandi foreste che hanno ceduto il passo alle colture, gli abitati, le strade.
L’uomo, per le sue necessità, ha cambiato l’aspetto della Terra e ne ha modificato il clima. Gli inverni piovosi e miti, le primavere folli, i 37 gradi d’estate – che a tanti piacciono, beatamente inconsapevoli delle catastrofi ambientali che provocano, come lo scioglimento dei ghiacciai sulle Alpi – creano danni ingenti all’agricoltura, alluvioni autunnali e crisi idriche nei mesi estivi.
Dove si estendono i boschi, invece, vi è un’attiva circolazione di acqua fra il suolo e l’atmosfera: gli alberi assorbono enormi quantità di acqua che in parte trattengono e il resto traspirano. L’aria è sempre fresca, perché l’evaporazione sottrae calore all’ambiente, e umida, in maniera che facilmente il vapore si condensa e le piogge sono più frequenti che altrove. Gli alberi frenano i venti impetuosi, li deviano ai margini del bosco, all’interno del quale essi si proteggono gli uni con gli altri, come una schiera di soldati, e impediscono la formazione di turbini d’aria e bufere. L’ossigeno si respira a pieni polmoni, la fotosintesi ne arricchisce l’aria e fa di questi luoghi autentiche aree di pace, salutari sia per lo spirito che per il corpo.
Quando il bosco si estende sulle pendici delle montagne, il groviglio delle radici, che sono tanto più sviluppate quanto più è difficile per gli alberi tenersi ancorati ad un pendio scosceso, imbriglia il terreno, lo cementa; poi, assorbe la maggior parte dell’acqua piovana, impedendo che essa scorra liberamente asportando terriccio e provocando disastrose frane. Pensate alla pazzia umana (autolesionista) dell’abbattimento indiscriminato degli alberi. Il bosco sulle montagne è un esercito di colonne verdi che costantemente difende i pendii e le valli dalla furia degli elementi. Occorre avere la consapevolezza che quando si distrugge un bosco occorrono anni per ricostruirlo, dato gli alberi non crescono veloci come il granoturco. Da un seme grande come un pinolo occorrono decenni per ottenere un alto albero.
Vagare tra boschi di aghifoglie è come camminare in mezzo ad una gara di portamento, i fusti sinuosi svettano nel cielo e profumano l’aria di resina pungente. Nei boschi di pianura regnano le latifoglie: pioppi, salici, olmi, pruni, aceri, tigli, robinie, ontani, carpini, frassini. Molti vivono in prossimità dei corsi d’acqua (salici e pioppi in particolare) e crescono più veloci degli altri. Poi ci sono le pendici collinose, dove le aghifoglie e le latifoglie si incontrano. Faggi, castagni, roveri, farnie, cerri, noccioli, carpinelli, si mescolano all’abete bianco e al pino. In inverno il lucido fogliame dei sempreverdi dona un tocco di vita imperitura al bosco. Nei mesi freddi si ergono rami nudi e scuri delle latifoglie, poi, in primavera, si coprono di teneri germogli e di un verde chiaro e fresco che induce alla vita.
Infine, ecco la bellezza che lascia incantati: la macchia mediterranea. Sono luoghi che ci ricordano il mitico viaggio di Ulisse, che ha come scenario lo splendido bacino mediterraneo dove il bosco incontra il mare.
L’affannoso errare dell’eroe omerico, le sue sofferenze, la nostalgia stessa della patria sembrano essere lenite dalla dolcezza del clima, dalla serenità del paesaggio e dall’incomparabile bellezza della vegetazione.
Non soltanto Omero, che è l’anima stessa della Grecia, ma anche Virgilio sente il fascino della flora mediterranea, che allora, molto più di oggi, rivestiva le isole, nascendo tra le rocce e i dirupi o scendendo sui morbidi arenili, quasi a lambire le onde del mare. Il profumo della macchia mediterranea, evocato dai due massimi autori classici, è forte per le resine dei pini, dolce per i fiori di ginestra, denso di aromi caldi come il sole e la terra che nutrono queste piante. Il profumo che ben conosce chi si addentra nei boschi vicino al mare, sulle colline sovrastanti il golfo di Trieste.
I pini mediterranei dall’alto fusto e dalla imponente chioma ad ombrello dominano gli orizzonti marini e si stagliano, con le braccia a candelabro, contro il cielo azzurro e il riverbero scintillante delle acque, armonizzano con il paesaggio naturale, le colture e le case dell’uomo. In collina, appena sopra il mare, deliziosi boschi non grandi di latifoglie e pini custodiscono un sottobosco di cespugli spinosi, piante rampicanti e colorati fiori.
Nulla allieta il cuore come una camminata in uno di questi boschi, lungo i sentieri battuti dagli animali e tra declivi ricoperti di vegetazioni fresche. L’aria è ancora pungente e la brezza marina passa attraverso l’intrico di rami, giunge come una soave e immaginaria onda azzurra che risveglia l’anima.
Amo fotografare il bosco e il sottobosco, cogliere i colori, la robustezza dei tronchi, le piccole costruzioni umane inglobate dalla vegetazione. Mi perdo lungo i sentieri che conducono ai torrenti, ascolto i rumori della natura, scruto il cielo attraverso i rami che si protendono in alto.
In epoche confuse e maligne come la nostra, prigionieri di un potere sempre più autoritario, occorre ritornare ai boschi. Non fosse altro che per l’inizio di tutte le fiabe che cominciano in un bosco, siano favole note e leggendarie o individuali. Chiunque si senta spinto a camminare nel bosco, ad addentrarsi in esso e smarrire le brutture della realtà, desidera vivere una fiaba, cercare la libertà interiore che rende padroni della propria vita e sognare di trasformarsi in alberi, uccelli, cervi, che nella loro semplice essenza, vivono al di sopra di ogni cosa.