Un lontano ottobre
Il cielo grigio e piovoso di una domenica come tante, a inizio ottobre, mi riporta lontano da qui. Attraverso come in un volo pindarico i colli e il mare, i boschi e i borghi e mi ritrovo in Istria, dove sono nata. Non cerco un senso e nemmeno una logica, il pensiero è libero di volteggiare nello spazio e nel tempo, la coscienza consente ai ricordi di emergere fluidi, anche se causano malinconia. Ad ottobre mio padre era indaffarato col suo vino, dopo le vendemmie dei campi di Sidovie’ che amava molto. Era un momento magico la cura del mosto, i tini puliti davanti a casa, la trasformazione della natura da una forma ad un’altra e lo stupore dell’uomo partecipe del miracolo. Il ricordo della sua voce, della sua allegria, della pasta all’uovo che gli preparavo e che lui voleva troppo cotta e troppo condita; gli dicevo che erano abitudini sbagliate e che doveva badare alla salute, lui rispondeva con una risata e il discorso finiva lì.
Un nodo alla gola quasi mi strozza, il tempo passato da malinconico diventa doloroso e le lacrime bagnano gli occhi. Poi sento la sua presenza, la percepisco come un refolo d’aria fresca delle montagne e una mano sulla spalla, la sua mano, che mi consola. Sento una voce, mi dice: io sono qui, non ti lascerò mai sola. Le lacrime scrosciano come un fiume in piena e l’anima si stacca dal corpo, si fa cullare tra quelle braccia che mi hanno protetta e amata come mai nessun altro uomo potrebbe fare e adesso, dalla dimensione di luce in cui si trova, non mi abbandonano.
La vita è un soffio eppure la percepiamo lunga, difficile e qualche volta non degna di essere vissuta; la gabbia del corpo ci imprigiona in passioni insane e dolori della carne, mostrandoci sfumature d’inferno ad ogni passo, eppure esiste un altrove che possiamo percepire, sentire dentro come una fresca cascata in estate, come un lussureggiante bosco di pace e quiete. So che mio padre si trova lì e che mi guarda, segue i miei passi e mi è vicino quando la malvagità umana mi ferisce. Per molto tempo non ho potuto guardare le sue foto, ricordarlo felice nel suo elemento naturale, poiché lunga e devastante è stata la malattia che lo ha ucciso prima della morte. Il tempo ha assopito il dolore, e la mia solitudine, voluta e ricercata, si è trasformata nella condizione ideale in cui vivere. Ricordo mio padre in ottobre nella cantina o tra i filari di viti, il suo incedere deciso, il suo essere parte del Creato in modo semplice e genuino, fedele ai rituali e alle tradizioni di un mondo quasi scomparso. Quei campi ora incolti erano la sua vita, lontano dalla città che non ha mai amato, in una dimensione antica e immutabile. Le sue mani nodose sono lievi ora che mi accarezzano i capelli, mentre fuori le foglie cadono. Ti voglio bene papà.