La donna delle erbe
Un racconto di medicina popolare nel millennio della tecnologia imperante era un’esigenza che sentivo da tempo. Raccontare le strolighe, le herbane della tradizione istriana, mi sembrava la chiave giusta. Donne ma anche uomini esperti di erbe e rituali magici che davano conforto alla povera gente, nei paesi e nei villaggi di campagna, dove i medici erano un lusso. Ringrazio un’amica d’infanzia che mi ha parlato di Elisabetta, donna delle erbe nata a inizio ‘900, generosa e buona, intelligente e acuta che ha tramandato alla nipote l’antica arte della guarigione con le erbe officinali.
Nel chiarore del mezzogiorno di giugno, Elisabetta procedeva lentamente nel bosco intorno a casa, con un cestino di vimini al braccio; si fermava di tanto in tanto, raccoglieva dei fiorellini gialli con tutto il gambo e li posava nel recipiente con delicatezza e senza sciuparli. Accanto a lei camminava in silenzio una bambina esile di nemmeno otto anni. Osservava l’anziana donna cogliere con maestria i fiori senza far cadere neanche un petalo.
“Cosa sono i fiori che stai raccogliendo, nonna?”
“Raccolgo l’erba solare per eccellenza, l’Erba di San Giovanni”
“Cosa sarebbe quest’erba?”
“È l’erba che oggi, nella giornata in cui tutti gli amanti si ritrovano, si coglie alla sua massima potenza. L’iperico, così si chiama presso i sapienti, luccica con tutti i suoi fiori dorati sull’orlo dei sentieri, nei boschi radi come questo, nei prati asciutti, dalla fine della primavera e durante tutti i mesi caldi fino alla fine dell’estate”
“Come fai a riconoscerla in mezzo a tutte le altre?”
“Perché è una pianta dritta, senza peli, di circa cinque palmi. Guarda i suoi fusti, sono saldi e ramificati e hanno due linee sporgenti su tutta la lunghezza, con foglie opposte, intere, ovali. Se le guardi in controluce vedrai numerosi punti trasparenti. Quelle sono le sacche di essenza della pianta”
La bambina seguiva con molta attenzione le spiegazioni della nonna e non si perdeva neanche un passaggio.
“I fiori”, continuava l’anziana, “sono di un giallo dorato e sono numerosi, come puoi vedere. Sbocciano quasi tutti in cima al ramoscello e hanno sempre cinque petali. Per riconoscere questa pianta devi partire dai fiori, di un bel giallo dorato, poi controlla gli stami che sono numerosi e raggruppati in tre fasci e le foglie scure e lucenti, infine i frutti che arriveranno più tardi e saranno delle bacche con all’interno i semi”
“Nonna, perché le raccogliamo oggi e a mezzogiorno?”
“Perché vanno raccolte nel giorno più lungo dell’anno, a mezzogiorno preciso. Devi sapere che anticamente si diceva di curare il simile col simile; quindi, le proprietà dell’Erba di San Giovanni contro le scottature sono maggiori se le piante vengono colte alla massima potenza del sole nel giorno in cui calerà più tardi e scotterà di più. Faremo una macerazione nell’olio d’oliva e useremo le sommità fiorite e fresche. Poi essiccheremo tutto il resto sospeso in ghirlande nel fienile. L’Erba di San Giovanni ci proteggerà tutto l’anno da ogni male, poi, contro il cattivo tempo ne bruceremo un po’ nella stufa”
“Mi insegnerai tutti i segreti delle erbe, vero?”
“Sì, piccola mia, ti insegnerò tutto ciò che so perché sei la più adatta. Vedi, chi conosce l’arte della guarigione è un prescelto e a sua volta sa scegliere il successore, colui o colei che useranno la conoscenza per far del bene al prossimo”
“A te chi ha insegnato queste cose?”
“Vieni qui, sediamoci su queste pietre e ti racconto”.
Sedute in una radura in mezzo al bosco, sotto le fronde verdi degli alberi, Elisabetta apriva la sua vita alla nipote.
Sono venuta al mondo a Filaria, vicino Sterna, nel 1906. Eravamo una famiglia numerosa, come lo erano tutte all’epoca. Si lavorava nei campi da mattina a sera, si consumavano pasti frugali e la vita era scandita dal passaggio delle stagioni. Nella natura si celavano, e si celano ancora, tutte le risposte che l’uomo cerca, così alla tua età fui iniziata alla conoscenza delle piante e anche alla chiaroveggenza da mia nonna. Nelle tradizioni della nostra terra si combinano la medicina del popolo, la preghiera e l’arte magica; i prescelti devono saperle mescolare con sapienza e maestria, per aiutare e non arrecare danno. Quando mi sposai, a neanche vent’anni, ero già esperta e le persone venivano a casa per superare un malanno, un turbamento della mente, il malocchio – che non è altro che la negatività delle persone malvagie, la loro aurea fosca e oscura capace di avvelenare gli altri – o semplicemente per raccontare a qualcuno di comprensivo un dolore della vita. Ed i dolori erano tanti e per tutti.
Rimasi vedova con un figlio di un anno quando mio marito morì d’infarto, nessuna delle mie conoscenze poté evitare quella tragedia e nemmeno le altre che seguirono. Diventai ben presto una donna austera e dedita soltanto alla crescita di mio figlio e all’aiuto alla gente bisognosa che non ha mai dovuto pagare per i miei servigi. La vita però, e la natura soprattutto, portano nell’esistenza di una giovane donna sentimenti e passioni ai quali essa stessa non può opporsi. Così, in una notte di luna piena all’inizio della primavera, il cuore iniziò a battere per un altro uomo. I miei capelli biondi risplendevano nella luna e gli occhi di ghiaccio ritrovavano il guizzo della vita; ci amammo, ci unimmo, ci sposammo e non badammo alle chiacchiere. Lui era mio cognato e sapevo che mi amava da sempre, da ancora prima di conoscermi; cercava me, mi inseguiva nelle notti di luna piena, ma fu suo fratello a trovarmi per primo. Nacquero altri quattro figli e il duro percorso della vita continuò, tra regimi, guerre e dittature, in questa nostra terra contesa e ferita. L’ultimo dei miei figli, appena ventenne, morì anche lui d’infarto e la maledizione di quella luna di primavera della mia gioventù, quando amai il fratello del mio defunto sposo, sembrò colpirmi senza pietà negli anni del tramonto.
Il dolore fu devastante e tuo nonno non si riprese più, tanto che dopo un paio d’anni mi lasciò anche lui. La mia vita da allora ruota tutta intorno a voi, figli e nipoti, e alla gente dei paesi vicini che chiede il mio aiuto. Così accendo il fuoco, brucio il finocchio secco e con nove braci leggo i segni del destino. Getto le braci nell’acqua, osservo il colore, il fumo e interpreto se è il malocchio e da chi proviene, se da una donna o da un uomo. Prego i Santi e osservo, scruto; quante braci rimangono a galla e quante finiscono in fondo, quante si voltano e quante “fischiano”. Le uso anche per il bestiame quando si ammala, poiché è l’unica ricchezza che possiede la povera gente, e perpetuo rituali contro la “more”, le streghe che la notte provocano gli incubi. Ciò che però trovo unico e indispensabile per aiutare, è la natura, la sua forza che si esprime attraverso le erbe e i preparati, con la conoscenza e la fede nel potere curativo della farmacia di Dio. Per secoli le cure mediche al popolo le abbiamo garantite noi, donne e uomini esperti di piante spontanee, di generazione in generazione, nella fragilità della tradizione orale. Erbe, decotti, cataplasmi e quell’insieme di rituali di cui ti parlavo, sono sempre arrivati dove i medici non mettevano piede. La nostra umile arte è sopravvissuta a violente persecuzioni ed è sempre stata a favore dei malati e di quanti soffrivano. I decotti, gli impacchi, le infusioni, le macerazioni, gli oli, le poltiglie, gli sciroppi, le tinture e gli unguenti sono le armi che abbiamo usato, recuperando le antiche tradizioni e le pratiche magiche. Quindi le erbe per i decotti e gli infusi si colgono in determinati periodi dell’anno, come la luna piena o le ricorrenze dei santi, la più importante è San Giovanni appunto, sovrapposte a momenti ben più antichi, solstizi ed equinozi che in epoche remote veneravano i nostri oscuri antenati. Occorre quindi conoscere tutte le erbe officinali prima di poterle usare, essiccarle in casa o fuori all’ombra, sapere quando coglierle e come trattarle. L’Erba di San Giovanni sarà dunque messa a macerare a freddo nell’olio di oliva per quaranta giorni e sarà un toccasana per i reumatismi, l’artrite e persino per le rughe del volto. Poi faremo gli sciroppi di salvia contro le infreddature, quelli di sambuco contro la febbre da fieno, i preparati di ortica per i capelli e di melissa per calmare i nervi. Imparerai ogni cosa, ti insegnerò tutti i procedimenti e tu potrai insegnarli a tua volta, aiutando il prossimo e la tua famiglia. Sarai anche tu una donna delle erbe, in quest’epoca dominata dalla scienza e dall’arroganza, tanto bisognosa di un tocco di magia. Vieni, su, torniamo indietro.
Si avviarono verso casa, accarezzate dai raggi di sole che penetravano tra i rami degli alberi e gettavano fasci di luce sul sentiero in mezzo al bosco di latifoglie.
Ad Adriana scende una lacrima di nostalgia mentre prepara il macerato di iperico nella sua cucina con l’olio di oliva istriano, in vasetti ermetici. Sono passati decenni da quando la sua anziana nonna Elisabetta le ha insegnato i segreti delle erbe, i rituali di un mondo antico polverizzati dalla tecnologia, e la solidarietà popolare sacrificata sugli altari dell’egoismo individualista. Eppure, lo spirito della donna delle erbe non si perde, non svanisce, non si fa imprigionare né annientare; così lei insegna le antiche conoscenze alla giovane figlia che, tra cellulari e social network, non è un’anima smarrita negli abissi del nulla contemporaneo.
Fin quando qualcuno ascolterà la voce della Natura e delle donne delle erbe, le conoscenze del mondo antico resteranno tra noi e renderanno migliore la nostra vita.