Di primo inverno
La luce sbieca di un pomeriggio di novembre dipinge d’oro intenso le ultime foglie che resistono sugli alberi; il vento le stacca con refoli più intensi e le porta lontano, sopra i tetti rossi delle villette, e poi le fa scivolare giù, in giardini nascosti da mura e siepi. Più in alto il Carso si spoglia e mostra la cruda roccia a tratti colorata dai sempreverdi e spazzata dal vento che schiarisce l’orizzonte.
In terrazza la calendula resiste al freddo con i suoi gialli e intensi fiori e il delicato garofano pende dal tavolino di vetro e quasi si schiude in pallidi germogli. Seduta sulla panca di ferro verniciato, con uno scialle avvolto sulle spalle, resisto al clima che si raffredda e prova a scacciarmi in casa.
Ho portato dentro lo scaffale di ferro battuto assieme alle succulente e al basilico sopravvissuto a tutto ottobre, provando una sorta di malinconia; la vita nel terrazzo l’ho apprezzata più che mai quest’anno, dopo aver sistemato i muretti e riverniciato le pareti, dopo aver posizionato per bene il tavolino e le sedie dove ho fatto colazione per tutta l’estate e dove ho scritto e letto moltissimo.
Ora che l’autunno volge al termine, la vita si sposta completamente negli spazi interni ed io ricerco il profumo delle arance, dei tè speziati e delle candele che odorano di festività. Penso al profumo del mosto diventato vino, alle nebbie bianche che accanto al mare sono rare, in quella loro magica forma sospesa sopra le case e gli alberi, a mezz’aria, come in un incantesimo; le prime brine che fanno rabbrividire gli orti dove le ultime verdure sbiancano e inteneriscono allo sferzare del vento, pungente, che incalza i passanti e li affretta verso il tepore di casa.
Gli alberi sono rimasti senza foglie e gemono al vento che le sparpaglia;
si trattiene ai suoi occhi quel color di paglia arido, che s’affolta alla tua soglia.
Se nella strada tu procedi, ascolti che al tuo piede s’infrange quasi un sommesso piangere senza volto.
Gherardo del Colle
Sulle strade spazzate dal vento la gente si chiude nei giacconi, indossa berretti e si muove sfuggente, senza indugio, senza desiderio di respirare l’aria della sera. Le rose potate e le aiuole incolore ricordano il ciclo della vita e la morte invernale che sopraggiunge.
Ci furono le rose un tempo, gli asfodeli. Ora passa nei cieli il cielo che rispose alla notte degli anni, alle paludi, ai morti.
Ci restano più forti del tempo questi inganni della dolce stagione e il povero che vede fermarsi sul suo piede il sole, già s’espone al sorriso cieco.
Felice si somiglia, balbetta con le ciglia il soliloquio greco.
Poi trova il freddo, stretto nelle stesse parole con cui si scalda il petto.
A non volere vuole il fondo del bicchiere.
La morte porge al nonno degli anni sul braciere di cenere quel sonno.
Alfonso Gatto
Chi dice che novembre è triste non ha pensato alla sua poesia e alla bellezza dei crisantemi d’avorio, ai ricordi che risvegliano il cuore e alle lunghe serate trascorse a discorrere mentre la pioggia batte sui vetri con un ritmo lento e cadenzato.
Se talvolta dalle ripe nebbiose si desti il richiamo; se dal viluppo, fogliame di porpora e d’ombra al fiume compagno, talvolta il richiamo ti giunga – solitario, lontano, in questo morire dell’autunno –
Oh, ricorda: la primavera è perduta, sfinita l’estate, anche il cielo dell’autunno è consumato, eppure eterna rimane, tra queste forme che sanno, la sosta fuggitiva; le nostre vite si svolgono in questi luoghi solo;
inestricabili, intatte, in un presente senza tempo al di là del presente.
Rina Sara Virgillito
Il sole è calato dietro le colline e il mare s’illumina di luci del porto: è tutt’uno col cielo striato di nubi, al chiarore della luna. Sta giungendo l’inverno, lo sento nell’aria e nelle ossa, porterà il suo tocco gelido e il ghiaccio delle mattinate buie. La stagione del cuore, il momento in cui sono me stessa ma con la smania di veder rifiorire la natura e rinascere la vita. Poiché tutto è un ciclo, tutto è mutamento e in ogni momento si anela ad un momento diverso.
Lo senti quel pungente profumo di freddo nell’aria, il grigio negli occhi e quei lunghi tramonti? È l’inverno che arriva.
Stephen Litteword