Le origini del Carnevale
Terminano oggi le celebrazioni della festa più allegra e spensierata dell’anno, in un periodo storico confuso e pericoloso che lascia poco spazio alla gioia. Il mondo non è mai stato un posto perfetto e l’uomo ha sempre fatto del suo peggio per rendere la vita un’amara esperienza. In certi momenti, però, questa spregevole inclinazione dell’animo umano arriva a conclusioni folli, come accade in questo momento, dopo un lungo periodo di malattia e di profonda crisi economica sempre più stringente. Anche per questo – o in opposizione a tutto ciò – desidero ricordare le antiche origini della burla carnevalesca e del profondo significato delle februae, le purificazioni che hanno dato il nome al mese appena trascorso.
Il significato etimologico di “carnevale” è particolarmente evocativo, deriva infatti dal latino carnem levare o carni levam, ovvero il sollievo o l’astinenza dalle carni (inteso anche come carnalità). La celebrazione che si conclude oggi, con il Martedì Grasso, lascia il posto alla Quaresima che un tempo imponeva digiuno, preghiera e totale astinenza dalle carni in preparazione della Pasqua. Tuttavia, per esplorarne l’antico significato occorre andare ben più indietro, in epoca antica e pagana. Infatti, il Carnevale con i suoi allegri festeggiamenti, conserva ancora il sapore, lo spirito e le caratteristiche delle celebrazioni precristiane che è andato a sostituire.
L’euforia, lo scambio di ruoli, l’abbandono dei freni inibitori, come anche le maschere e i carri che sfilano tra la folla, trovano numerose corrispondenze nel mondo antico e, nello specifico, nel ciclo di festività tra dicembre e marzo.
A Roma il periodo iniziava con i Saturnali o Saturnalia, dedicati a Saturno, dio della seminagione, della prosperità e della felicità. In questo periodo si assisteva ad un sovvertimento degli obblighi imposti dalla società e dalle gerarchie che questa prevedeva, tanto che per un momento lo schiavo poteva diventare padrone e il padrone schiavo.
Se invece vogliamo trovare l’origine dei carri allegorici, allora dobbiamo spostarci nell’antica Atene e riscoprire le Anteserie, le festività più antiche in onore di Dionisio. Il carro allegorico sfilava per le vie della città ed evocava l’arrivo del dio dal mare. Si trattava di un corteo con una barca trasportata da ruote, sopra vi si trovava Dionisio col proverbiale grappolo d’uva in mano e con due satiri nudi che suonavano il flauto; il corteo era costituito da personaggi in maschera tra una folla festosa ed esultante che beveva dai calici, cantava e danzava.
Troviamo l’elemento delle maschere anche nei Lupercalia romani, celebrazioni in onore del dio Fauno di cui ho già scritto. Il poeta cristiano Lattanzio, nei primi anni del IV secolo, ci racconta di come i sacerdoti dedicati al dio indossassero una maschera sul volto oppure un impasto di fango. L’inizio della celebrazione prevedeva una corsa dei sacerdoti nudi, muniti di strisce di cuoio chiamate februae; partivano da una grotta sul Palatino e arrivavano alla via Sacra. Il colpo della februae si credeva portasse in dono la fertilità, per cui si colpivano con le strisce di cuoio chi si offriva al passaggio. Una tradizione questa che si lega al rito dei Krampus a Tarvisio e in Austria. Proprio alla forma delle februae si farebbero risalire anche i dolci tipici del Carnevale, le chiacchiere o i crostoli della tradizione veneziana e triestina, a forma di strisce annodate o distese. Pensandoci bene, da queste parti “crostolar” significa proprio darle di santa ragione. I crostoli hanno illustri antenati nel mondo romano, ovvero le frictilia, dolci fatti con farina e uova, fritti nello strutto (da cui il nome) e ricoperti di miele. Le donne romane li preparavano in abbondanza proprio per i Saturnali (17 – 23 dicembre).
Alla fine del V secolo, in età cristiana e con le repressive ordinanze del secolo precedente di papa Teodosio I, non si era ancora riusciti a cancellare il rito dei Lupercalia, ritenuto immondo. Dopo editti, slittamenti di date che prevedevano un raggruppamento di tutti i rituali in un solo momento, si ottenne un certo declassamento dell’antico significato ma non di certo la sua estinzione.
A partire dal Medioevo, infatti, si cominciò a celebrare il processo al Re Burla o semplicemente a sua Maestà Carnevale, con una parodia dell’assemblea giudicante. Il tribunale burlesco decretava la fine del re tra urla, sberleffi e schiamazzi che, oltre ad essere uno sfogo liberatorio, ricordava l’ingresso alla nuova vita dei sacerdoti luperici e la corsa dalla grotta, iniziata sempre con una fragorosa risata. In pratica il mito antico perdurava anche se in forma mutata e grottesca. Le feste pagane iniziavano con un sacrificio che inneggiava alla vita, così la Chiesa lo sostituì con la penitenza che tutti conosciamo. Quindi il Carnevale è passato attraverso le maglie strette di una forte censura che doveva modificarne la natura, imponendo trasformazioni che gli togliessero parte dello spirito trasgressivo e di avversione alle regole. Lo stesso concetto di februae viene stravolto da questa narrazione; quando parliamo di febbre è comune pensare alla malattia, mentre in realtà si trattava di purificazione, di superamento del male che ha dato anche il nome al mese appena lasciato alle spalle.
Oggi il Carnevale è soprattutto la festa dei bambini, un rituale innocente che consente il gioco e l’identificazione dei più piccoli nei beniamini dei cartoni animati e negli animaletti più simpatici. Esistono però anche le celebrazioni degli adulti, da quelle eleganti e raffinate del Carnevale di Venezia ai carri allegorici che si fanno in molte città e che prendono di mira i potenti e i politici.
Nei miei ricordi il Carnevale non è un momento esaltante dell’anno – se non fosse per i crostoli e le fritole che lo accompagnano – poiché le celebrazioni istriane erano piuttosto invadenti. Le maschere, piccoli cortei o gruppi di poche persone, andavano di casa in casa e gli si offrivano dolci, vino, salsicce e uova da portare via. Facevano un gran chiasso, scherzi stupidi e i loro volti coperti da brutte maschere, con abiti folli, mi spaventavano assai.
Mio padre, invece, adorava il Carnevale; con la sua bombetta, gli occhiali, il naso e i baffi finti, era una versione buffa di un Totò istriano che prendeva in giro tutti, faceva ridere la gente e beveva troppo vino. Mia madre lo sapeva, a Carnevale papà doveva essere lasciato libero di sfogare gli istinti burleschi e di trasformarsi in un satiro simpatico e scherzoso. Direi che lo spirito della festa dovrebbe essere questo, anche nei momenti più bui e demoralizzanti della nostra storia.