Delirio e violenza
Ieri sera ho assistito ad un pezzo di trasmissione televisiva, in prima serata. Dire che sono rimasta disgustata, attonita, amareggiata è usare degli eufemismi. Si parlava della spaventosa guerra in Ucraina, come ovunque in queste settimane; un incessante stillicidio di immagini di morte da tutte le angolazione e propagande, rimarcando la brutalità di un corpo dilaniato, di un bambino disperato, di un soldato fatto a pezzi. Sono volate parole inquietanti ieri sera, in quella triste trasmissione; l’esperto che invitava i mercenari a muoversi, l’altro che auspicava le bombe dagli aerei, quell’altro ancora che si augurava la marcia dei soldati occidentali contro l’orso russo. Ero esterrefatta, frastornata, spaventata; costoro parlavano comodamente seduti sulle loro belle poltrone, chi in studio chi a Washington, e si auguravano un allargamento del conflitto, come se stessimo parlando di uno staterello autoritario del Medio Oriente e non della più grande potenza nucleare del pianeta. Poiché, cari signori, la Russia detiene ancora questo primato e se a Putin parte per davvero la brocca, siamo tutti morti: ha armi nucleari sufficienti per distruggere il pianeta almeno otto volte. Tra gli ospiti c’erano giornalisti prezzolati, commentatori, direttori di giornali, esperti di geopolitica, reporter in collegamento e diverse donne ucraine avvolte nella loro bandiera. Sedute tra gli ospiti c’erano anche due attraenti giovani donne dell’Ucraina con una visione diversa rispetto alla vulgata: sia la studiosa russa del Donbass che la bellissima modella di Kiev, manifestavano una posizione critica nei confronti della narrazione del conflitto. Si è scatenato un putiferio, un intercalare volgare e violento contro le due donne, letteralmente massacrate: alla studiosa è stato dato della psicopatica ed è stata invitata ad andare in “quel cazzo di Russia”, mentre la bella modella di Kiev è stata apostrofata, da un elegante gentiluomo ucraino in diretta, “nave da scuola russa”, ergo: baldracca dei russi. Nessuno ha difeso le due giovani donne, nessuno ha ritenuto che si fosse superato il limite di decenza in una trasmissione con milioni di telespettatori.
Questa collaudata abitudine di superare il limite, di sprofondare nella melma del turpiloquio, di insultare a livello personale l’interlocutore, ai tempi di internet e dei social network, è pratica pienamente accettata e inseguita. Una specie di gara a chi cade più in basso e si rotola nel fango. Internet, da questo punto di vista, può definirsi un’autentica fucina dell’odio, della violenza, della partigianeria più bieca, dell’individualismo più selvaggio e dell’egocentrismo declinato nelle forme più abominevoli. La guerra esplosa alla fine (si spera) della pandemia, quando gli animi sono fin troppo provati, ha generato scritti e turpi interventi che mi hanno lasciato sconvolta; avevo già “cancellato” persone dal social network che uso perché non sopportavo il livello di odio, di disprezzo manifesto per chi la pensava diversamente, negli anni della malattia; ora, con la guerra, tutto mi sembra ulteriormente degradato, imbruttito, imbarbarito; e pensare che non credevo si potesse fare di peggio. La cosa deleteria è che pure tante persone di un certo livello culturale stanno seguendo la medesima logica della bestialità, scrivendo articoli vergognosi. Seguo da anni i blog di giornalisti, scrittori, esperti di politica internazionale e storici di fama mondiale ma anche delle cosiddette influencer, perché ritengo che ogni tipo di narrazione abbia la sua dignità e importanza. Quindi faccio l’esempio di uno di questi blog, della sua autrice, che dà la misura della devastazione culturale ed etica in cui ci troviamo. Premetto che non leggerò mai più il sito in questione ma che per diverso tempo l’ho letto con un certo piacere, per via dei validi consigli di moda e di costume che l’autrice è capace di dare. Stamani, però, ho capito che anche qui si è passato il segno. In un lungo, delirante, saccente e noioso articolo di consigli psicologici, l’autrice attacca brutalmente una follower che l’ha criticata, lo fa dandole della bruttona, invidiosa, psicotica, infelice e fallita; la malcapitata, rea di aver fatto un commento di troppo ad una foto della blogger, si vede massacrare in una disamina della sua psiche instabile, scomodando persino Freud e Adler per essere sul “pezzo”, cioè sul cadavere bullizzato dell’infelice criticona. L’aspetto mostruoso della faccenda è che l’articolo in questione, nelle sue intenzioni apparenti, avrebbe dovuto trattare di solidarietà femminile e di “sorellanza”: non so se mi spiego, si è usata al contrario una critica sociale per colpire a livello personale un’altra donna.
E non è nemmeno la prima volta che leggo cose del genere su questo blog, anzi. Nelle scorse settimane mi sono imbattuta in almeno altri due pezzi di questo tenore, dove un’altra malcapitata (o la stessa?) veniva definita “ruba mariti” (leggi: baldracca), cessa, ancora invidiosa, frustrata e fallita, ed infine, cosa che mi ha nauseato, “idrocefalo”. Ebbene sì, si è messa in mezzo anche l’idrocefalia per insultare, per umiliare; quella terribile malattia che colpisce spesso nell’infanzia e che deforma il cervello. Insomma, l’abominio dell’insulto verso gli invalidi, verso i malati. Mi sono chiesta, leggendo questo substrato di spazzatura verbale, se non sono pensieri come questi alla base delle guerre e dei massacri su scala planetaria. Oggi tutti sperimentiamo il degrado, senza nemmeno accorgercene. Quando andiamo al supermercato e per sbaglio si abbassa la mascherina, quando urtiamo qualcuno involontariamente per strada, per un parcheggio o quando portiamo i cani a passeggio: ovunque è un continuo insulto, un “fatti più in là”, un rabbioso e cagnesco guardarsi di traverso. Le parole, poi, hanno un peso enorme quando si scrivono e ci si deve assumere le responsabilità. Se scrivi e hai un seguito, se ti esponi per le tue idee in articoli e libri – come faccio io – devi per forza mettere in conto le critiche, gli attacchi e anche gli insulti, specie in questo mondo dell’aggressione sdoganata. Per i miei lavori io mi sono sentita attaccare in mille modi, con offese personali, per lo più grossolane e volgari (anche sul piano dell’aspetto fisico, sorte che capita a tutte le donne intelligenti e non particolarmente belle), specie da quando scrivo libri che vendono. Per cui, tu – sì, dico a te, – tu che sei una blogger di successo, una donna di successo, bellissima e nessuno te lo nega, benestante e socialmente privilegiata fin dalla nascita, perché insulti le povere “cesse” con la tua rabbia isterica e vendicativa? Si può pensare al proprio osceno egocentrismo anche in momenti come questo, ad un passo dal baratro? Perdonatemi, cari lettori, questo sfogo davvero non me lo potevo risparmiare. Io sono realmente femminista, lo sono intimamente e fino alla morte, e non sopporto che la dignità delle donne venga ferita fino a questo punto. Anche questa è una guerra, di morale e di etica: non me la sento di voltarmi dall’altra parte. Se poi intendiamo dire che bisogna schierarsi nella guerra europea in corso, se vogliamo chiamarci esseri umani, allora lo dico chiaro e tondo che io non mi schiero dalla parte dell’Ucraina in una logica di spietata caccia al russo, non ci sto proprio. Leggerò sempre Tolstoj, Dostoevskij, Puškin e Čehov; ascolterò Čajkovskij e Rachmaninov; ammirerò le bellezze dell’Ermitage di San Pietroburgo, almeno nei libri, e non smetterò certamente di fare i cocktail con la vodka! Le follie della cancel culture, come la chiamano, dobbiamo combatterle tutti, giorno per giorno, se vogliamo davvero chiamarci esseri umani.
Mi rimetto a scrivere il mio libro difficile ed entusiasmante allo stesso tempo, mentre il mondo precipita e i venti di guerra soffiano sulle nostre coscienze. Prometto che non guarderò più la televisione e non leggerò i blog, niente tempo sprecato sui social network e arrabbiature: lo prometto solennemente. Un bel libro di Graham Greene che apra la mente e un classico Pasternak che infonda poesia, sono sufficienti per non impazzire in questa violenta realtà di follia.
P.S. Trovavo appropriate le foto della bellezza primaverile per un pezzo amaro come questo.