La primavera di Zagabria, il mio nuovo libro
Esce nei prossimi giorni la mia ultima fatica, La primavera di Zagabria, libro edito dalla Luglio Editore di Trieste. Si tratta di un romanzo storico che racconta un fatto poco noto in Occidente, ovvero il movimento denominato primavera croata che, sull’onda di quello di Praga, chiedeva più democrazia e meno potere centrale nella Jugoslavia del 1971. La repressione fu dura: l’intera classe politica riformista croata decapitata, chiuse associazioni e giornali, carcere duro per molti intellettuali e tanti studenti. Il potere che alla fine degli anni ’60 aveva mostrato maggiori aperture alle nuove idee liberali e filoccidentali della società – o per meglio dire della sua classe più abbiente – con una riforma del sistema economico e una certa parziale libertà di stampa, represse brutalmente il movimento croato e fece un balzo all’indietro di decenni nella negazione dei diritti umani. Infatti era dai tempi delle persecuzioni dell’OZNA, con migliaia di arresti arbitrari, che non si vedeva una tale repressione reazionaria. Artefice di tutto era Tito, il cui potere non fu mai scalfitto da nessun movimento, e gli esecutori materiali gli uomini della sua portentosa macchina poliziesca che si affidava ad una vasta rete di delatori. La piazza della primavera di Zagabria vedeva riuniti gli studenti accanto agli operai, i poliziotti accanto agli intellettuali, i pensionati vicino agli impiegati ministeriali, tutti intenti ad ascoltare la voce della donna che sfidava la monumentalità jugoslava voluta da Tito: Savka Dabčević. Quando, però, la piazza chiese democrazia e indipendenza – di fatto lo smembramento della Jugoslavia – la segretaria del partito comunista croato rispose: “Sì, l’indipendenza, ma all’interno della Jugoslavia socialista.” Fu allora che si formò una frattura tra i politici riformisti che non potevano e non volevano demolire la Jugoslavia e il popolo stanco e desideroso di farla finita. Il movimento diviso in tre filoni era composito, poiché lo componevano i critici all’interno del partito, l’organizzazione degli intellettuali e gli studenti universitari. Furono questi ultimi a servire il pretesto a Tito per scatenare la repressione: occuparono l’università di Zagabria come videro fare ai loro colleghi in giro per l’Europa e negli Stati Uniti. In una fredda giornata di dicembre, nella maestosa residenza di caccia confiscata alla famiglia reale serba vicino a Belgrado, il Maresciallo padrone del paese obbligò i “riformisti” ad accettare la sua purga e abbandonare il movimento studentesco. Gli arresti furono migliaia, gli espulsi dal partito decine di migliaia e la parziale libertà di stampa andò a farsi benedire. Il mondo occidentale, maestro indiscusso di ipocrisia, finse di non vedere ciò che stava avvenendo, tanta era l’ammirazione per Tito che combatté il nazifascismo, ruppe con Stalin e nella sua maturità aprì le lussuose magioni al jet set internazionale. In Croazia fu imposto il “silenzio”: nessuno doveva più parlare del movimento o rivendicarne le richieste. Si finiva in galera per anni e nessuna organizzazione per i diritti umani poteva fare granché.
Seppi una parte di questa storia alle superiori, nel 1989, quando un’allora studentessa dell’università di Zagabria ne parlò in classe: era la professoressa di lingua e letteratura croata. Per scrivere il libro, le tristi vicende di quel periodo, ho visionato ore e ore di filmati, ascoltato molte interviste e letto decine di articoli di giornali. Ovviamente tutto in lingua croata, poiché di questi eventi il ridente mondo occidentale non ne parla neanche adesso, dopo più di cinquant’anni. Di sicuro c’entra l’arroganza di un mondo che si sente superiore ad un altro, specie se l’altro ha tradito la visione veterocomunista che anima gli ambienti intellettuali dalle nostre parti. Poi, però, credo ci sia anche un certo pudore che hanno persino gli spudorati, insomma coloro che per i funerali del Maresciallo si asciugavano le lacrime e vedevano nella Jugoslavia una nazione comunista non violenta. Gli oppositori di Tito non furono ammazzati crivellati di colpi, come avrebbero fatto gli uomini della vecchia Udba o del KGB, furono invece imprigionati in carceri spaventose, assieme ai criminali più violenti, e lasciati lì a marcire per anni. Era, quindi, molto comodo far finta che non fosse accaduto niente, realizzare l’ennesimo film hollywoodiano sull’eroe jugoslavo e firmare accordi con un paese del socialismo reale aperto ai capitali occidentali.
Il libro che ho scritto non è però un’opera di saggistica ma un romanzo. Ci sono due personaggi immaginari che conducono il lettore in questo viaggio, in un gioco di specchi che riflette in loro le vite dei personaggi veri. Un maturo professore di storia intraprende un viaggio verso Zagabria e nella sua memoria, negli anni dei limiti della pandemia e della crisi economica, cercando se stesso e una verità dura da accettare. La ragazza che aveva tanto amato in quella fatale primavera è morta lasciando scritte le sue memorie, invocandolo tra una frase e l’altra. Sarà un viaggio fatto di flash back, di angosciosi ricordi ma anche di sentimenti e di rimpianti. La Primavera di Zagabria è un libro che dovevo alla memoria, alla storia, ai protagonisti che hanno pagato cara la loro richiesta di libertà, visti dal mio piccolo osservatorio personale che cerca di capire gli eventi del passato analizzando la vita reale dei suoi protagonisti. Un degno seguito del fortunato L’Abisso socialista che si concluderà in futuro con l’ultimo della trilogia.
La presentazione de La primavera di Zagabria si terrà giovedì 7 luglio alle 18.00 presso la sede della Lega Nazionale di Trieste, in via Donota 2. L’introduzione sarà a cura dell’avv. Paolo Sardos Albertini e il contesto storico a cura del prof. Diego Redivo. Sarò presente all’evento per incontrare i lettori.