Il ricordo di Gorbaciov
Se ne è andato Mikhail Gorbaciov, l’uomo della Perestrojka, della Glasnost, della fine della Guerra Fredda e dell’URSS, crollata sotto il peso dei suoi miti che mai hanno mantenuto alcuna promessa e si sono sgretolati come statue di sale con l’incedere della storia. L’ultimo dei grandi della fine del ‘900, l’ultimo leader di un mondo oppressivo che si stava aprendo e provava a cambiare. La sua ingenuità forse è stata credere che il sistema comunista sovietico potesse cambiare, democratizzarsi e avere buoni rapporti con l’Occidente, poiché, a suo modo di vedere, il socialismo reale non doveva passare attraverso la sopraffazione o l’aggressione dell’altro, ma attraverso un convincimento che era quello l’unico mondo migliore. Un idealista, senza dubbio, che oggi mi ricorda i giovani protagonisti del mio romanzo La primavera di Zagabria, poiché anche loro coltivavano quest’idea o forse questa illusione. Di umili origini, aveva trovato la forza e la tenacia di scalare la vetta del potentissimo partito comunista e farsi nominare suo segretario in un momento drammatico per l’URSS: le morti “in sequenza” di Andropov e Černenko e una crisi economica spaventosa. A Mosca doveva esserci il panico, dato che la notizia del decesso dell’ultimo segretario del PCUS fu data assieme all’elezione al suo posto del cinquantaquattrenne Gorbaciov. Dal 1985 al 1991 il mondo è cambiato radicalmente e quegli anni hanno coinciso col potere di Gorbaciov, poiché egli è stato uno dei massimi artefici del cambiamento. Per me sono stati anni fondamentali di crescita e di comprensione del mondo nel quale vivevo, della consapevolezza che quel mondo non poteva e non doveva continuare. L’idea di una società aperta e libera, di un’economia di mercato, della libertà di stampa e di parola, della libertà religiosa, erano tutti concetti nei quali i giovani dell’Est speravano e credevano. C’erano Giovanni Paolo II in Vaticano, Ronald Reagan alla Casa Bianca, Margaret Thatcher a Downing Street e soprattutto Mikhail Gorbaciov al Cremlino. Pensare agli attuali esponenti di questi luoghi del potere mi mette un’enorme tristezza e quasi una nostalgia colpevole per il passato. Ricordo le numerose visite di stato fatte da Gorbaciov in tutto il mondo, con accanto l’elegante e colta moglie Raissa che era anche sua consigliera. Beppe Grillo disse in uno dei suoi sketch provocatori che la voglia in testa del segretario del PCUS era di coca cola, per sottolineare una certa attrazione consumista; personalmente non l’ho mai visto così, per me era l’unico comunista consapevole che un cambiamento era obbligato oltre che necessario. Il popolo russo del tempo lo ha apprezzato, salvo poi voltargli le spalle quando divenne chiara la sconfitta sovietica con la NATO e lo smembramento dell’enorme impero. I funerali sono stati modesti, poche migliaia di persone in opposizione a Putin e l’assenza totale dell’attuale nomenclatura politica. Non c’erano nemmeno i leader stranieri che si sono fatti rappresentare dagli ambasciatori, sui quali però spiccava la figura di Viktor Orban che era presente. Il leader ungherese evidentemente è l’unico a ricordare l’importanza di questo personaggio che ha posto le basi alla liberazione del suo paese dal Patto di Varsavia. La fine del primo e unico presidente dell’URSS è stata drammatica e triste; l’arroganza di Eltsin, gli anni dell’oblio, la morte dell’amata moglie e la malattia. Ci ha lasciati a 91 anni, in un momento spaventoso: il mondo e la Russia sono l’opposto di ciò che lui voleva e sperava. Mi chiedo quanto abbia influito l’invasione dell’Ucraina, la restaurazione della repressione e l’isolamento della Russia dall’Occidente in questa fine così silenziosa. Chi non è rimasto in silenzio sono certi nostri commentatori, particolarmente attivi sui social network. Li seguo con un certo interesse perché, di tanto in tanto, fanno analisi interessanti sulla realtà attuale; il passato, la storia, invece sono un’altra cosa. I piccoli orfani del pensiero comunista un tempo mi facevano arrabbiare, ora – dopo aver scritto un paio di libri catartici – mi fanno quasi tenerezza. Sono figli di una società ricca che li ha viziati, cullati, garantiti per decenni. Questo mondo dell’opulenza giunto alla fine, con la locomotiva tedesca quasi ferma (e non solo per il gas) sta portando tutti i nodi al pettine. Così i poveretti si rifugiano nel passato, nelle contrapposizioni chiare, nell’ideologia di quel mondo finito che schiavizzava, controllava e umiliava milioni di persone e di cui a loro non è mai importato niente. Un amico mi ha chiesto: “Ma è sato un bene il crollo dell’URSS per gli equilibri mondiali?”. Sì, è stato un bene. La Guerra Fredda comprendeva un rischio nucleare ben più reale della centrale in Ucraina. Poi, come scrive Dugin (di cui ho parlato ampiamente nell’articolo precedente), la Russia è un paese dell’archeomodernità dove convivono spinte moderniste con forze tradizionali, idee occidentali con convinzioni ancestrali e da questa schizofrenia si generano conflitti e molte falsità. Questo vuol dire che si deve apprezzare il capitalismo della finanza attuale? No, assolutamente no: il male minore non esiste, si tratta solo di una giustificazione per far digerire qualunque abominio. Il sistema del capitale in cui viviamo è al collasso e forse leggere Marx prima di arrivare a questo punto poteva essere utile. In Occidente si è pensato di rinunciare alla produzione, alla vera industria, alle cose che si vedono e si toccano per la finanza, la borsa, fino alla valuta virtuale. Il nostro mondo compra tutto nei mercati emergenti che, oramai, tanto emergenti non lo sono più e in tutta Europa non ci sono fabbriche di microchip o industrie di trasformazione delle terre rare indispensabili per far funzionare i nostri preziosi cellulari. È per davvero il vecchio continente, pieno di gente anziana e improduttiva, soggetto a ondate migratorie sempre meno gestibili e con una carenza di materie prime oramai drammatica. Si è scelta l’eutanasia in tutto e per tutto, inclusa la transizione energetica che gli esperti considerano inattuabile se non a costi sociali elevatissimi: pochi privilegiati e una marea di miserabili che non avranno né la macchina né l’energia domestica. Mi chiedo però cosa c’entri tutto ciò con la fine dell’URSS, dato che deriva da scelte fatte prima del tracollo sovietico. Pensiamo ad esempio al Regno Unito che ha rinunciato alla sua grande industria manifatturiera, alle rivoluzioni di quell’industria, già negli anni ’70 per consegnarsi alla finanza e trasformare la city in un luogo completamente dipendente dalla borsa, dalle sue oscillazioni e speculazioni. La Germania e l’Italia hanno puntato sull’industria per più tempo, poi però noi abbiamo svenduto tutto senza un briciolo di visione del futuro e i tedeschi hanno fatto scelte produttive ed energetiche da pazzi. Così l’orso russo, imbestialito e ferito, ci ricatta tutti e attuerà la sua vendetta quest’inverno. Il ricordo di Gorbaciov si allontana dallo squallore di questa situazione, l’idea di un mondo in pace che genera profitti senza conflitti pare del tutto tramontato. I blocchi si stanno riposizionando, i nuovi giganteschi giocatori (Cina e India) faranno le loro mosse e noi, sempre più vecchi e stantii, pare ne pagheremo le conseguenze più amare. Non ci resta che accomiatarci da questo grande uomo e dalla sua visione di libertà così vilmente tradita.