Settembre e l’equinozio d’autunno
Il nono mese dell’anno, secondo il calendario gregoriano, prende il nome dal numero sette che nell’antica Roma, prima del calendario giuliano di Cesare, era il settimo mese dell’anno. Un mese con due anime in opposizione, quella estiva e quella autunnale, dove la seconda prevarrà intorno al 22 o 23 di settembre nell’equinozio d’autunno. Un momento particolare in cui la durata delle ore di luce e di buio saranno uguali.
“Non è forse questo un vero giorno d’autunno? Proprio la malinconia che amo – che rende la vita e la natura armoniose. Gli uccelli si consultano sulle loro migrazioni, gli alberi stanno freneticamente indossando le pallide tinte del decadimento, e cominciano a spargersi sulla terra, così che i passi di chiunque non possano disturbare il riposo della terra e dell’aria, mentre loro ci regalano un profumo che è un calmante per lo spirito inquieto. Delizioso autunno! La mia stessa anima si sposa con esso, e se fossi un uccello vorrei volare per la Terra in cerca degli autunni successivi”.
George Eliot
Nell’antica Roma a settembre si svolgevano i festeggiamenti per Giove Capitolino che con Minerva e Giunone costituiva la Triade Capitolina. Questo momento dell’anno rivestiva un’importanza rilevante nelle culture antiche, a partire dai Greci che vi festeggiavano i misteri eleusini, riti misterici che ricordavano il rapimento di Persefone, figlia della dea Demetra che aveva il compito di regolare i cicli vitali terreni, condotta negli inferi da Ade che ne fece la sua sposa. E fu così che Persefone, moglie di Ade, trascorreva sei mesi dell’anno nel regno dei morti. Poi, in primavera ed estate faceva ritorno sulla terra e aiutava la madre Demetra a far rifiorire la natura e la vita.
Della mitologia celtica ho scritto spesso e le ho dedicato, l’anno scorso, un lungo articolo riguardante questa celebrazione. Qui tratteggerò soltanto gli aspetti più rilevanti, poiché vi è un filo conduttore che tiene tutto insieme. Per i Celti l’equinozio d’autunno corrispondeva alla festa dell’oscurità che avanza e vi si riprendeva il mito greco di Persefone. Mabon era l’equinozio d’autunno, celebrato nel giorno a metà tra i due solstizi. Il giovane Mabon, dio delle vegetazione e dei raccolti, rapito tre notti dopo la sua nascita, imprigionato per lunghi anni, veniva alla fine liberato.
In Gran Bretagna la festa del raccolto si celebra tuttora la domenica della luna piena più vicina all’equinozio autunnale e rappresenta le seconda festività legata al raccolto, segnando la fine della mietitura. Nella tradizione druidica l’equinozio d’autunno veniva chiamato alban elfed (autunno) ed Elued (luce dell’acqua). Un momento mistico, di preparazione, per i mesi a venire.
Iniziamo quindi ad allontanarci dalla luce, ci dirigiamo verso l’oscurità dell’inverno, quando la natura si prepara alla quiete e al riposo dopo le fioriture e i frutti della stagione calda. Un mese, settembre, che ci regala ancora la raccolta dei doni della terra, nel pieno del mutamento stagionale che cambia i colori e i profumi. L’uva matura, i fichi, le noci e le nocciole, le prime castagne, le zucche e i funghi che si confondono tra le tonalità del bosco, in mezzo alle foglie secche e all’umidità che effonde dalla terra.
“In nessun altro momento come in autunno la terra emana il suo profumo, un profumo di terra matura; un odore che non è in alcun modo inferiore al profumo del mare, più amaro dove si confonde con i sapori, e molto più dolce dove puoi sentirlo mentre sfiori i primi suoni. Contiene la profondità dentro di sé, il buio, qualcosa di simile alla morte”.
Rainer Maria Rilke
Non nascondo che questo è uno dei miei periodi preferiti, per i suoi colori straordinari e quell’aroma della terra dolce e aspro che riconosco fin dall’infanzia. La luce pallida del pomeriggio, il sole che tramonta prima ma infiamma ancora il cielo, le colline che mutano di colore e l’aria più fresca, più frizzante che induce a cercare una coperta leggera, morbida e calda per le notti più lunghe. Ecco, so che stai arrivando Mabon, torni a rapirmi il cuore e l’anima, a farmi sentire nel mio elemento, a darmi quel senso di solida eternità in un mondo folle e instabile.