L’equinozio di primavera e le antiche radici
Stasera, quando la notte calerà, ci sarà l’equinozio di primavera. Il momento in cui la natura trova l’equilibrio tra il giorno e la notte, in una transizione tra una fase e un’altra. La primavera è da sempre la stagione della rinascita, celebrata in tutte le culture, in ogni epoca, con un insieme di rituali e credenze che si perpetrano nel tempo e si fondono, inglobandosi, tra popoli e religioni differenti.
Gli antichi Greci celebravano Persefone, regina degli inferi, e la sua ascesa al mondo dei vivi. Il ritorno segnava il risveglio della natura, dovuto alla gioia di Demetra – madre di Persefone e dea dei raccolti – nel riaverla con sé.
Sugli altari bruciano incensi.
Mormora l’acqua tra i rami delicatamente,
tutto il mondo è ombrato di rose.
Stormiscono le fronde e ne discende un molle sonno e di fiori di loto
come a festa fiorito è il prato,
esalano gli aneti sapore di miele.
Saffo (fine VII sec. – prima metà VI sec a.C..)
Per i Romani i festeggiamenti del risveglio della natura erano affidati alla dea Aprilia (che diede il nome al mese di aprile), divinità primaverile che coincide con Flora, dea delle piante e della fioritura. Celebrazioni che iniziavano già con l’equinozio di primavera aequinoctium vernum, fissato da Giulio Cesare il 25 marzo.
Alla selve, alle foglie dei boschi è
dolce primavera;
a primavera gonfia la terra avida di semi.
Allora il cielo, padre onnipotente,
scende con piogge fertili e accende ogni suo germe.
Gli arbusti risuonano del canto degli uccelli,
i prati rinverdiscono.
E i campi si aprono: si sparge la tenera acqua;
ora al nuovo sole si affidano i nuovi germogli.
Virgilio (70 a.C. – 19 a.C.)
I Celti e buona parte dei popoli del Nord celebravano il momento di Ostara o Eostre, dea della primavera e dell’alba, quando il giorno e la notte avevano la stessa durata ma la luce era in aumento. Era una festa della rinascita e del rinnovamento, della terra che germoglia vita e dei campi che ridiventano fertili. Ostara era una dea dell’est che ricordava per molti versi il mito di Venere e di Afrodite, presiedeva i culti legati allo sopraggiungere della fertilità nel mondo agricolo. Tuttavia, era la protettrice dell’intera natura e della sua fertilità e, da qui a tutto il mese di aprile, avevano luogo i rituali propiziatori per il futuro raccolto. I druidi la chiamavano Alban Ellier, ovvero “Luce della Terra”, simbolo di liberazione della luce solare che confina le tenebre dell’inverno.
Veniva rappresentata con l’aspetto di una fanciulla o una giovane donna che viaggiava con un coniglio e un uccello. Una leggenda raccontava di quando Ostara s’imbatté in un uccellino morente nella neve che si scioglieva ma era ancora gelida. Era l’alba e faceva freddo. La dea scaldò la piccola creatura tra le mani e la trasformò in una lepre, animale dal vello spesso che d’inverno si rifugia nelle tane, all’interno della terra. Così, la magica lepre-uccello, ebbe il modo di rinascere e di deporre le uova, simbolo di un nuovo inizio e dono alla dea salvatrice. Il coniglio, o la lepre, erano animali sacri alla dea della fertilità e simboleggiavano la fecondità. L’uovo era anch’esso un forte simbolo, tanto da legarsi all’antico concetto di “uovo cosmico”; per la mitologia egizia, ad esempio, l’intero universo deriverebbe da un uovo primordiale.
Il legame con la Pasqua cristiana appare molto forte, in quanto la Chiesa incorpora il simbolismo di Ostara, rendendo la Resurrezione una celebrazione della rinascita. Il massimo del simbolismo lo troviamo a partire dai nomi della Pasqua che, in inglese è Easter e in tedesco Ostern, le trasformazioni dell’antico Ostara (chiamata così dai popoli germanici) e Eostre, dea dei Sassoni. In Bretagna questo era l’inizio dell’Eostre-monath, il mese di Eostre. Al tempo Ostara corrispondeva al primo plenilunio dopo l’equinozio, il medesimo calcolo che poi si fece per la domenica pasquale. Anche per noi, cristiani contemporanei, la Pasqua è la Resurrezione di Cristo e contemporaneamente il ritorno della primavera sulla terra.
Ecco fiumi e ruscelli già liberi dal ghiaccio
Il dolce sguardo della primavera gli infonde la vita.
Lieta verdeggia la speranza nella valle.
Spossato, il vecchio inverno
si è appartato in monti inospitali.
Goethe (Faust, passeggiata di Pasqua)
In pratica oggi inizia una fondamentale fase della natura e della vita, un momento dell’anno in cui si viene incoraggiati a scrollarci il vecchio di dosso e guardare a un nuovo inizio. Un po’ come nell’opera dell’artista vittoriano Calderon che, in pieno XIX secolo, recupera l’antico simbolismo celtico per cui la primavera, la stagione che prelude alla dolce estate, viene impersonata da una giovane fanciulla mentre l’inverno, la stagione più dura e difficile, è raffigurata da una vecchia strega che viene cacciata dalla prima. Stanotte la primavera caccerà l’inverno e una fase di rinascita si dischiuderà davanti ai nostri occhi. Per la verità, di questi tempi dagli inverni miti e le primavere precoci, i giardini delle nostre città e anche i balconi sono fioriti da diversi giorni.
Un tripudio di gialli narcisi e di cerulei giacinti, di violette profumate e calendule brillanti, di mandorli bianchi e peschi fioriti, dell’erba verde come lo smeraldo tra i cui fili si schiudono la malva e le margherite. La primavera si respira ovunque, anche tra i palazzi delle città, entro cortili protetti e piccole campagne sopravvissute.
Un amico mi ha ospitata nel suo mondo nascosto, tra l’urbanizzazione della periferia e quelle ripide salite che caratterizzano Trieste. Lo chiama “piccola Istria” e sono campi a terrazzo dove crescono alberi da frutto, fiori variopinti e alleggia una beatitudine campagnola insolita ma bellissima. Il mondo celato di un artista, di un musicista che antepone l’arte a ogni scelta e che, come dice lui stesso, sente il bisogno della manualità e della terra tra le dita per trovare una sintesi tra creatività artistica e natura.
Il resto del mondo che rimanga fuori, fuori dall’atto creativo, fuori dalla semplicità di una luna di primavera e di un prato in fiore, di un brano eseguito o di una poesia scritta, di un libro che nasce e di una nota che lievemente si posa. In questa straordinaria rinascita l’infecondità dell’umano contemporaneo perde d’importanza e il ciclo delle stagioni, la ruota dell’anno, regala nuovi orizzonti solo a chi li saprà scegliere.