Buie, sentinella dell’Istria
Dove culmina la salita dell’antica via Flavia, che dalla valle del Dragogna e attraverso un altipiano porta alla valle del Quieto, si erge un colle sul quale si staglia la cittadina di Buie. Da questo colle si domina il territorio del buiese composto da alture e da valli, coltivate o ricoperte di boscaglia e massi. Da qui il panorama si estende su una vasta parte dell’Istria, tanto che il luogo si è meritato nei secoli l’appellativo di “sentinella dell’Istria”. Si dice che dal grande campanile del duomo, nelle sere di bel tempo, si possano vedere i campanili di Aquileia e di Caorle nel luccichio del mare al tramonto.
Buie fu probabilmente sede di un castelliere preistorico, verosimilmente occupato in un periodo meno remoto da una delle tribù celtiche che si stanziarono in Istria in epoca protostorica. Diventò successivamente Castrum romano e, per la posizione strategica, fu destinato a presidiare la via Flavia che passa ai piedi del colle. Molti sono i resti dell’epoca antica, alcuni visibili sul lato sinistro del duomo, o nella villa romana di S. Elena e tante altre testimonianze storiche, come i toponimi.
Il borgo fu chiamato dai Romani Bullea o Bulla, però non si può escludere un’origine preromana dall’istro Bulya. Tante furono le denominazioni nelle fonti medievali, quali Castrum Uvege, Bugia, Bugle, Castrum Bugle e persino Bug-lah dal geografo arabo Edrisi.
Dopo il periodo romano, Buie passò ai Bizantini e poi ai Franchi e dal 952 al feudo germanico. Con il nome di Castrum Bugle fu nominata nell’atto di donazione alla chiesa di Aquileia nel 1102 dal marchese d’Istria Ulrico II di Weimar. Il borgo rimase ai patriarchi fino al 1412, quando con l’Atto di donazione alla Serenissima (custodito nell’Archivio di Stato di Venezia), Buie inizia la lunga fase del dominio veneziano. Non fu però una cittadina sottomessa e tranquilla, tutt’altro. I rapporti conflittuali con Pirano spinsero i dogi ad abbattere le mura difensive della città e anche il campanile dal quale si spiavano le mosse dei vicini. Soltanto dalla metà del Quattrocento i Veneziani cominciarono a ricostruire le nuove mura difensive di Buie; risale a quel periodo anche la costruzione della torre di S. Martino di cui parlerò più tardi.
Ancora prima del dominio veneziano, Buie lottò per non essere infeudata, così nel 1257 divenne, con non poche difficoltà, libero Comune: fu governata da un gastaldo nominato dai patriarchi ed ebbe gli attributi comunali di loggia, torre, mura, vessillo e, dal 1371, statuti. Tumultuose furono le vicende medievali, dalla scomunica del vescovo di Cittanova al coinvolgimento nella guerra fra Venezia e Sigismondo d’Ungheria; dalla sottomissione a Venezia alle scaramucce con Pirano per i confini e i pascoli del territorio di Castelvenere. Contese, queste, proseguite fino a quando Venezia non stabilì la proprietà a Pirano e Buie dovette cedere quasi tutto il Carso di terra rossa.
Quando riebbe le sue opere murarie difensive, a partire dal 1458 e poi nel 1480, entrò in possesso del più imponente e bel campanile istriano (50 metri), adorno dal leone marciano e stemmi; consolidato nel 1933 come monumento storico.
Il vescovo di Cittanova, aldilà di tutti gli scontri e incomprensioni, teneva particolarmente a Buie, luogo centrale e salubre, sua seconda residenza presso la Porta e la piazza che il vescovo Nicolò Gabrieli trasformò quale sede estiva.
La grande epidemia di peste del 1630 sterminò parte della popolazione e quando ricomparve negli anni successivi, ridusse il borgo a un luogo lugubre e desolato. Fu la forza dei cittadini sopravvissuti a far ripopolare Buie negli anni successivi, ad imporre il dialetto veneto e tutta l’architettura con l’evidente impronta della Serenissima.
Dopo la restaurazione del 1815 (Congresso di Vienna), la cittadina venne a far parte del circolo di Trieste ed ebbe un ulteriore sviluppo.
Il nucleo storico di Buie ha una visibile e chiara configurazione medievale; attorno a questo antico nucleo si è sviluppato un nuovo sobborgo, alla base di un importante crocevia. I rioni medievali di “Villa” e “Cornìo” presentano una pianta ovale e la loro disposizione appare in armonia con i palazzi in stile tardo veneto. Il centro, con le case addossate l’una all’altra, con le calli che dal “Sùccolo”, l’antica porta del Castello, convergono alla piazza del duomo, si pregia di molte callette selciate a filari di conci d’arenaria grigia (masegno), tenuti grezzi per impedire ai quadrupedi di scivolare.
Le pendenze sono una nota caratteristica di questo borgo, tanto che per andare in campagna e tornare per riportare i prodotti, tutto si faceva con l’asino. Gli orti erano fuori dalla cinta urbana, “soto le case”, ai “piai”; spaziose, invece, le contrade di S. Giacomo, della piazza delle Porte e Lama, dove l’abitato si è dilatato.
Il cuore di Buie è sicuramente la piazza del duomo di S. Servolo col suo maestoso campanile. Negli scavi del 2010 venne evidenziata l’antica necropoli medievale sulle cui fondamenta fu ricostruita la monumentale chiesa.
La Collegiata di S. Servolo, costruita tra il 1754 e il 1784 dall’architetto Giovanni Dongetti, presenta una singola navata, soffitto a volta, rifatto nel 1816 da Giovanni Righetti. I lavori furono portati a termine da Antonio Naiber ma, eccetto il portale in stile rococò, la facciata rimase incompleta. Durante la costruzione venne demolita la preesistente chiesa romanico-gotica, a tre navate con cappelle laterali, trasversale alla nuova costruzione. Di essa permangono sulla facciata rocchi e basi di colonna e anche una patera lapidea del periodo romano (utensile usato nei sacrifici, dalla forma simile ad una bassa scodella). Pur essendo del periodo barocco, la chiesa presenta un aspetto insolitamente semplice, con una vasta e luminosa aula composta di un presbiterio dominato dalla finta cupola e centrato dall’altare maggiore affiancato dalle statue marmoree dei Santi Servolo e Sebastiano, eccelsa opera di Giovanni Marchiori del 1737.
Sulle pareti si alternano gli altari laterali con le parabole evangeliche del tardo Settecento. Notevoli sono le opere d’arte e gli arredi custoditi in questa grande chiesa: i dipinti del veneziano Francesco Travi raffiguranti le parabole; Santo Piatti e la sua magnifica “Madonna col Bambino” che presenta sullo sfondo una veduta di Buie all’inizio del XVIII secolo; il “Martirio di San Servolo” di Giuseppe Camerata; l’altorilievo ligneo policromo “La strage degli innocenti” del tardo Settecento attribuito ad artigiani della Val Gardena; l’Organo del celebre professore Callido, sorprendente per la sua accuratezza, impreziosito da fregi, intagli, pilastri, capitelli e un ricco tendaggio orlato d’oro.
Nella piazza, all’esterno del duomo, è collocato l’antico Pilo, un grigio macigno sul quale è scolpito il leone di San Marco, usato quale base al palo del gonfalone veneto, opera del XV secolo. Affianco alla chiesa si innalza il maestoso campanile, costruito come ricordato nel 1480. Interamente edificato in pietra di arenaria, altissimo e impreziosito da stemmi e iscrizioni, in particolare dal superbo leone marciano poggiato su due mensoloni.
Il vescovo Gabrieli provvide a modificare la piazza con la costruzione del Palazzo Comunale Vescovile dove si trasferivano i vescovi d’estate, sostituito dall’attuale edificio del 1878 che fu Municipio e poi scuola, con il leone di San Marco ancora sulla facciata.
Buie ha una seconda grande chiesa, in piazza Le Porte; qui, sul lato sud, un tempo si apriva una loggia, ora scomparsa, che è diventata la nota finestra sui campi e sul mare di cui gode il visitatore. La chiesa di S. Maria della Misericordia fu ricostruita su una chiesa precedente nel 1587 e completamente restaurata dal vescovo Bruti nel 1684.
All’interno presenta un soffitto a cassettoni decorati; il soffittino sotto il coro è in legno scolpito, con un fine intaglio antico, decorato in stile Luigi XIV. Gli altari sono in marmo policromo e numerose sono le opere d’arte che vi si ammirano: “La Madonna col Bambino” del 1497, statua realizzata da Paolo Campsa e Giovanni Malines, i dipinti di Francesco Zanella e Gasparo della Vecchia, seguace del Veronese, e il capolavoro di Giambattista Pittoni raffigurante “S. Anna con i Santi”.
Esternamente, incorporato alla chiesa, ecco il campanile con sottopassaggio, terminato nel 1654. Entro le mura esistevano altre piccole chiese, di alcune non rimane nessuna traccia.
Passeggiando lungo le calli, percorrendo i saliscendi selciati, ci si rende conto che Buie presenta ancora molti suggestivi resti delle antiche mura che cingono in un secolare abbraccio il borgo antico e la piazza del duomo.
Ad ovest si trova la torre veneta di S. Martino del 1458, vicino al vecchio cimitero con la storica chiesa dedicata al Santo e il classico campanile a vela e due fornici. Ha il portale decorato e la data del 1598. Qui riposano i vecchi abitanti di Buie e le loro lapidi, i nomi e le storie raccontano la cittadina più di mille parole scritte sui libri.
Per me che qui ho seguito i primi due anni delle superiori, Buie è un luogo dell’adolescenza, degli impegni scolastici e delle incomprensioni. Non ero felice quando ci arrivavo tutte le mattine, prestissimo, dopo un estenuante viaggio in corriera. Il rapporto con gli altri studenti, alcuni ridicolmente altezzosi e offensivi, oltre che con qualche professore dedito a demolire sogni e speranze, mi ha aperto gli occhi sulle enormi contraddizioni della mia terra e i suoi abitanti. Ciò che amavo e amo tuttora di Buie, era ed è passeggiare tra le calli, fermarmi al cimitero storico e guardare lontano, come soltanto la sentinella dell’Istria può consentire di fare.
Poi recarmi fuori dalla cittadina, lungo la via che porta a valle, in direzione della campagna. Qui ho scoperto il sentiero di una poetessa, di cui mi aveva parlato l’amica Giuseppina Rajko. Un signore maturo, di ritorno dalla messa dedicata al patrono (S. Servolo), mi ha accompagnata e ha ricordato con me mio padre che lui conosceva bene. In fondo tutto si lega, ogni cosa trova le sue connessioni, ogni storia trova il modo di ricomporsi.
Tra gli ulivi e i vigneti, in un luogo fuori dal tempo, il profumo lieve della terra argillosa mi ha condotto alla fonte di S. Eliseo, un sito archeologico pare, dove si recava la poetessa Vlada Acquavita e dove c’è una lapide a lei dedicata, in stato di abbandono.
Era di Buie, visse qui fino alla prematura morte nel 2009. Intellettuale raffinata e colta, ha scritto di Antichità, Medioevo e si è ispirata al mito, al sacro, al miracoloso per comporre le sue opere. Il suo “Herbarium mysticum” è un piccolo capolavoro, un concentrato di conoscenze, leggende, poesie e bellezza. Scriveva e pubblicava con parsimonia, raccoglieva con grazia ed eleganza i suoi pensieri. Componeva in italiano ma la professoressa Lorena Monica Kmet, altra carissima amica, ha provveduto a farla conoscere anche in lingua croata.
Nel giardino di un nobile castello/ difeso dal mare/ il vento depone il dono prezioso.
In quell’eccelso giardino/ il seme divino/ mette radici col fuoco/ cresce nell’aria, foglie nell’acqua, fiorisce la terra.
Bianco biancheggia, di rosea luce rosseggia, bianco di biancore/ rubicondo genera la Rosa.
Versi eruditi, scritti da un’esperta linguista che ha viaggiato, osservato e scritto con l’anima e la mente.
Ritornerò a Buie, la esplorerò ancora, vedendola sempre uguale e incredibilmente diversa. Sono io che cambio, non la città, e nelle parole del figlio (famoso) di una esule buiese, apprendo quanto sua madre soffrisse per averla dovuta lasciare. “Il dolore dell’esule si passa, perché a me fa male come a lei. Di meno anzi, ma fa…”. Una sensazione comune alla mia gente, quei ricordi tramandati, quelle vite ricostruite altrove e il dolore che non cessa, neanche quando i figli crescono, hanno successo e soddisfazioni. Forse questo è il nostro destino, di noi quattro gatti sopravvissuti, soffocati dal nuovo che usa metodi di “pulizia” antichi, e che fa scomparire la cultura che ci unisce. Buie mi ricorda tutto ciò, evoca in me sensazioni, ricordi, nostalgie, delusioni; e quel cimitero monumentale, quelle tombe tutte in italiano, quel mondo che non esiste più, con i turisti che vengono qui solo per il panorama e le foto da social network. La Storia non ha pietà, spazza via ogni cosa, lascia solo le impronte per chi ha l’acume e la sensibilità di seguirle.
Rimando il lettore interessato alla pubblicazione del 2016, “Buie – Venezia 1412 – 1797”, atti della tavola rotonda del 2012, con contribuiti storici, artistici ed etnografici raccolti in occasione della ricorrenza dei seicento anni della dedizione di Buie a Venezia. Ed. Comunità degli Italiani di Buie. Vi si trovano i contributi di storici, esperti d’arte e docenti.