L’equinozio e le antiche celebrazioni: Oscoforie, Mabon, Festa della Luna e le altre
Il giorno dell’equinozio d’autunno ci ha svegliati con la pioggia scrosciante, i tuoni, il buio e ora il cielo grigio, spezzato da tenui raggi di sole tra le alte nuvole. Si direbbe una giornata autunnale, però il caldo ancora persistente e le foglie verdi degli alberi, del basilico coltivato, assieme alle temperature e all’abbigliamento estivo, raccontano un’altra storia. In quest’epoca di cambiamento, di inverni timidi, l’autunno arriva tardi ed è inizialmente poco intenso. Eppure, nella memoria conservo ricordi bellissimi del magico settembre, l’inizio della stagione che rinfresca l’aria e colora il mondo di tonalità calde. Mentre le giornate diventano più corte, la mia anima percepisce la sacralità del momento, del mutamento, del bilanciamento del tempo: l’attimo in cui la luce e l’oscurità hanno la medesima durata.
Da questo momento in poi il buio prevarrà sulla luce e la terra, lentamente, si assopirà per il suo meritato riposo invernale. Sono figlia della terra e abitatrice del bosco, dei prati solitari e conservo la memoria degli antenati agricoltori che misuravano il tempo, la vita e la morte, seguendo i cicli stagionali. Un metodo antico e profondamente spirituale di accettare i passaggi, nonostante non sia strutturato nel pensiero astratto e proponga un’analisi estremamente semplice della realtà: seguire i ritmi della natura e accoglierli per come sono. Gli antichi, a tutte le latitudini, seguivano il naturale cambiamento del loro mondo e ne celebravano i momenti salienti con dei rituali. Culture diverse tra di loro, con gradi diseguali di evoluzione del pensiero e della tecnica, festeggiavano in modo simile l’appartenenza alla terra e al suo eterno cambiamento.
I Greci ad Atene celebravano le Oscoforie, nel mese di pianepsione (all’incirca ottobre), una festa religiosa in cui si portavano i tralci di viti carichi di grappoli; festività dedicata a Dionisio, in cui dei giovani partecipavano ad una corsa da Atene al Falero con i tralci pieni d’uva e poi ritornavano in ordinata processione. La festa rendeva grazie a Dionisio e ad Atena per la raccolta dell’uva e delle olive e ricordava simbolicamente il viaggio di Teseo a Creta, per portare al Minotauro l’offerta di sette fanciulli e sette fanciulle. Per i Greci e per gli altri popoli legati alla vita agricola, questo periodo dell’anno coincide con l’ultimo raccolto, generalmente ricco e abbondante che nutrirà con i suoi preziosi frutti – conservati o elaborati – la famiglia per tutto l’inverno. Esisteva anche un altro culto presso i Greci, quello di Demetra e Persefone che si lega a questa fase e al mutamento. Il mito ci racconta della dea Demetra, divinità della terra coltivata, del grano e protettrice della natura, e di sua figlia Persefone, fanciulla bellissima avuta da Zeus. Ade, l’oscuro dio dei morti, se ne innamora e la rapisce, trascinandola con sé nel regno degli inferi. Allora Demetra inizia affannosamente a cercare la figlia, disperata e addolorata, e si dimentica di curare le piante, tanto da provocare una grave carestia di fiori e di frutti. La natura addormentata e sterile porta gli uomini alla miseria e alla sofferenza per la mancanza dei suoi doni. Zeus allora interviene e ordina a Ade di restituire Persefone a Demetra. Ade ubbidisce, ma prima di lasciarla libera le fa mangiare sei chicchi di melagrana, che costringono la fanciulla a tornare da lui nell’oltretomba per sei mesi all’anno. Ed ecco il ciclo delle stagioni: quando Persefone torna sulla terra, Demetra felice di riaverla risveglia la natura, in primavera e in estate. Poi, quando ritorna da Ade, la natura si riaddormenta, i terreni non danno frutti e sono spogli, si è in autunno e in inverno. A Roma questo importante culto prende il nome di Cerere (Demetra) e di Prosperina o Kore (Persefone), e inizia in Sicilia, terra che per prima coltivò il grano.
A questo mito se ne lega un altro lontano, appartenente ad un popolo profondamente diverso: i Celti. Lo chiamavano Mabon (anche se presso le tribù non aveva un unico nome) ed era l’equinozio d’autunno, l’ultima festività del ciclo vegetativo della terra, prima del Samhain che corrispondeva al Capodanno. Per le popolazioni gallesi era una divinità, dio protettore della giovinezza, dei raccolti e delle foreste. Potrebbe ricordare l’Apollo dei Romani, tuttavia è molto legato al culto di Demetra e Persefone. Anche Mabon soggiorna nell’oltretomba, Annwn, dopo essere stato rapito a tre giorni dalla nascita. La madre Modron, dea importante nella teogonia gallese, protettrice della fertilità e dell’abbondanza, lo cerca e fa deperire la natura, dando inizio alle stagioni. Viene salvato da Culhwch (cugino di re Artù). I Celti festeggiavano l’ultimo raccolto e la casa, la famiglia, in previsione della fase arida della terra e del freddo invernale.
Facendo un salto dall’altra parte del mondo, in Cina, questa era, ed è ancora, la Festa della Luna, o di metà autunno; tra le feste più tradizionali cinesi, risulta molto sentita dalla popolazione. Un’occasione per stare in famiglia e festeggiare con ricchi banchetti. Si pensa che la ricorrenza abbia quasi tremila anni di storia, di tradizioni, ed è comune anche ad altri paesi dell’Asia Orientale, come Filippine, Singapore, Vietnam, Giappone. La credenza ci parla del giorno in cui la luna piena appare più grande, luminosa e di offerte fatte agli dèi per il buon raccolto. Vi è inoltre la leggenda dell’arciere Yi e dell’amata moglie Chang’E, che vola sulla luna dopo aver bevuto un elisir magico per salvare il marito. Si festeggia la luna piena più vicina all’equinozio, simbolo assoluto della riunione familiare.
I legami col nostro mondo sono più profondi di quanto si possa pensare, poiché questi antichi popoli hanno lasciato cospicue tracce nelle nostre tradizioni. Le feste dell’uva sono molto diffuse nella fascia mediterranea e non solo, con celebrazioni che riguardano tante altre ricorrenze. Pensiamo all’Oktoberfest, ad esempio, le due settimane di follie a Monaco per festeggiare la birra, con rituali che Dionisio gradirebbe certamente. Nasce nel 1810, in occasione delle nozze del principe ereditario Ludovico di Baviera con la principessa sassone Teresa. La festa ricorda Gambrinus, inventore della birra, molto amato in Baviera, il lander celebre per la sua produzione. Gambrinus disse “La birra sia” e la birra fu, recita il motto popolare. Si suppone che si tratti di Giovanni I, leggendario re delle Fiandre, duca di Brabante, vissuto nel XIII secolo. La birra era specialità dei monaci, con molti conventi che racchiudevano la fabbrica per la produzione, e il periodo dell’anno è appena dopo l’equinozio. Rimanendo in Germania, nel medesimo periodo troviamo anche qui la festa del vino, nello specifico del vino del Reno: prodotto con le uve che crescono sulle colline intorno al fiume, tra Bingen e Coblenza dove i vigneti si estendono a vista d’occhio. Nella notte, assicura una leggenda, lo spirito di Carlo Magno in persona si aggira a custodire le preziose viti. In settembre la cittadina di Rüdeshein è sede di una fiera vinicola; un tempo le cantine esponevano una scopa per invitare gli avventori ad entrare e assaggiare il vino.
Nel mondo cristiano festeggiamo San Michele, l’arcangelo di fuoco e luce che difende la fede da Lucifero, precipitato negli inferi. Lo si festeggia con gli arcangeli Gabriele e Raffaele, ma egli rappresenta in modo particolarmente suggestivo la lotta tra la luce e le tenebre.
Per tutti, alla fine, questo è un periodo denso di significato e di simboli dove la natura si tinge di colori caldi e profondi, dal giallo al rosso, dove le foglie cadono dagli alberi (anche se non ancora) ricoprendo la terra. Si scelgono i semi che daranno vita a nuovi raccolti quando, in primavera, verranno messi a germogliare, e ora a riposare al buio e al fresco. Durante l’equinozio si dovrebbe lasciare andare il passato, si dovrebbe concludere ciò che è stato, e come gli antichi accettavano i frutti della natura, così l’uomo moderno che accetti il raccolto che ha seminato, può fare i suoi bilanci. Una stagione meravigliosa, la stagione del mio cuore, che vi auguro dolce e fruttuosa.