Il lago in inverno
Guardo l’acqua paludosa del lago solitario, in una giornata d’inverno col sole che tramonta troppo presto e disegna scie di luce argentea sullo specchio lacustre. Sono una creatura che ammira la natura, l’umanità primitiva, l’invisibile all’occhio, il mondo arboreo, e questo lago mi sussurra di mondi nascosti tra i fanghi grigi, sotto le acque che sospirano nel vento. Immagino un dialogo tra le specie viventi, tra le creature della palude e l’uomo, nel momento di massimo silenzio, quando tutto è assopito per il riposo invernale.
I canneti ingialliti, gli alberi senza foglie, le montagne monocromatiche, palesano la morte della natura, la fase prima della sua rinascita che già si manifesta, là sull’acqua, tra lo sguazzare di anitre multicolore; i pontili in legno abbandonati tra le rive ricoperte da piante morte, esauste, verranno calpestati in primavera ed estate da frotte di turisti della domenica, impegnati in pranzi sull’erba e futili chiacchierate, cellulari che tutto riprendono e niente di utile dicono; ora, però, tutto è silenzio e malinconia, maestosa quiete e trionfo dell’arcaico, dell’antico e primitivo senso dell’essere.
Per vivere in questo mondo devi essere capace di fare tre cose: amare ciò che è mortale; tenerlo stretto contro le tue ossa sapendo che ne dipende la tua vita stessa; e quando arriva il tempo di lasciarlo andare, lasciarlo andare.
Le poche parole della poetessa Marg Oliver raccontano molto di me, in questo momento, in questo contesto. Trovo la vita insopportabilmente dolorosa; sono consapevole, però, che ciò che più amavo è andato via e io sono stata capace di separarmene senza diventare pazza. La morte è una condizione della natura intera, la vediamo in tutte le stagioni della nostra vita e chi, come me, accetta la sua presenza costante, ha la forza interiore di vivere oltre l’immane sofferenza della perdita. Morire, lasciar andare, stringere a sé un ricordo ma senza farsi da esso soffocare: ecco di cosa mi parla il lago in inverno, i suoi canneti senza vita, i pontili deserti, le acque solitarie. Credo alla vita oltre la morte dei corpi, nell’anima che plasma la nostra natura ferina e violenta e nel suo eterno esistere oltre lo spazio e il tempo; anche di questo mi parla il lago, un mondo che racchiude il mistero della vita e della sua rinascita: si viene dal fango e ci si trasforma in esseri speciali, perché quel soffio divino anima i corpi e indica una via tra le stelle, nelle imperscrutabili strade del Cosmo. La corruttibilità è soltanto della materia e tutti siamo in grado di percepire dell’altro oltre ad essa: bisogna saper ascoltare il silenzio, farlo penetrare dentro la carne.
Tanto racconta la Natura, il Creato, a noi, esseri rumorosi che troppo spesso non sappiamo sentire.