Il Santo Natale e l’autarchia del regime
I viaggi possono essere tanti, altrettanti possono essere gli itinerari da percorrere. Non solo quelli fisici, fatti di spostamenti e di esplorazioni, ma anche viaggi fatti nella memoria. Ecco, io ora, nel periodo natalizio, viaggio nel mio passato e ricordo le emozioni dei tempi andati. Dei Natali della mia infanzia mi ritorna in mente il profumo del muschio che mia madre raccoglieva nell’orto, strappandolo dalle umide pietre del muretto a secco, per fare il presepe. Poi ricordo mio padre che mi portava nel bosco sotto casa alla ricerca del pino più bello per fare l’albero di Natale: un’impresa notevole in quella immensa distesa verde di tronchi irregolari. Addobbavamo la casa e l’albero con pochi lustrini, con qualche lucetta, con le palline argentate e dorate di nonna Eufemia che perdevano, anno dopo anno, il loro effimero splendore. Anche in chiesa si allestiva il presepe, si addobbavano gli alberi, nell’attesa della Santa Notte. Altre luci, altri decori, altri segni della più importante festività cristiana, allora, in Istria, non vi erano. La Jugoslavia osteggiava la religione in ogni modo: a Natale si andava a scuola e al lavoro, l’albero a scuola si faceva il ventisei dicembre e lo si chiamava “l’albero di Capodanno”, Babbo Natale era sostituito dal Nonno Inverno che portava pochi doni nella spaventosa crisi economica che vivevamo e lo faceva intorno a San Silvestro, pardon, a fine anno. Le città erano buie come tombe, nelle poche vetrine non c’era nulla che potesse invogliare il consumo dei pochi dinari a disposizione. Qualcuno diceva che passare dalla festosa Trieste degli anni Ottanta, piena di luci e vetrine sfolgoranti, a Capodistria, pareva di passare da una festa popolare a un funerale. Oggi Trieste è festosa e gli addobbi hanno maggiore buon gusto di un tempo, nonostante la terribile situazione geopolitica che viviamo: dopo anni di gestione comunale nostalgica dell’autarchia comunista, dopo le mille critiche mosse a chi imponeva l’ateismo ideologico d’altri tempi con la negazione delle luci di Natale, la città torna ad essere bella e splendente. Tutto ciò però non mi stupisce, Trieste sa essere una triste città che stenta a superare il passato, le turbolenze della storia, gli scontri tra ideologie morte e sepolte nel resto del mondo. Quindi ci sta che, prima o poi, l’esponente di una sinistra radicale, stanca e strascicata, cerchi di nascondere il presepe, di issare un albero spennacchiato e di spegnere le luminarie all’una di notte nella notte più luccicante del mondo: quella di San Silvestro. Subito dopo i cittadini lo castigano, lo ridicolizzano ovunque e gli votano contro, eleggendo un altro sindaco che decora le vie e le piazze con alberi e luci. Per chi ha vissuto ciò che ho vissuto io invece, per chi viene dal buio dell’autarchia, dei regimi, delle dittature, della negazione dei valori e della religione, vedere la città dove si è venuti al mondo – Capodistria nel mio caso – illuminata a festa, luccicante quasi in modo eccessivo, fa il suo effetto. Sembra quasi che gli anni del buio, della tomba, del cimitero, vengano annualmente esorcizzati con un tripudio di luci bianche che delineano un nuovo volto della città. Così Capodistria, in una serata dedicata agli acquisti e terminata con una cena in un locale strapieno di gente festante, mi ha stupito. La piazza principale, con la Loggia e Palazzo Pretorio è un’esplosione di luci a “palloncino” che collegano gli edifici col maestoso albero issato nel mezzo; sotto l’albero, tra musica, vin brulè, zucchero filato e la pista di ghiaccio, la gente si gode la serata ridendo e scherzando. Via Calegaria è tutta addobbata, le vetrine sono un invito a festeggiare il Natale in ogni modo: dai cristalli di Rogaska all’intimo raffinato della linea slovena Lisca. Già entrando in città, sul lungomare e in porto, l’amministrazione comunale ha provveduto a rendere il clima festoso, avvolgendo con luci bianche le palme che costeggiano le rive e gli alberi dei parchi. Gli esercizi commerciali – negozi, bar, ristoranti e paninoteche – non sono da meno a decori natalizi. Impossibile per me non fare delle fotografie in questa atmosfera che appare anni luce distante dagli anni ’80 della mia povera infanzia.
La serata si conclude in una pizzeria affollata, piena di avventori che si scambiano regali e brindano al Natale. Mi colpisce vedere molti giovani triestini in compagnia di ragazzi sloveni, distanti dai ricordi di un mondo diviso in blocchi di cui non hanno memoria. Così bevo una birra, sorrido al nuovo corso, al tempo che passa e riappacifica gli animi.